Retrospettiva Landolfi: IL MAR DELLE BLATTE e altri racconti

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Blatte. I loro gusci cozzanti che trasformano la limpidezza del mare in petrolio melmoso, blatte dalle zampette sottili, che si arrampicano sui corpi paralizzati di una stravagante ciurma, blatte ovunque, si insinuano in ogni angolo, blatte aggressive e innervosite, forti del disgusto che esercitano sugli uomini, protagoniste indiscusse del primo racconto che dà il titolo alla raccolta pubblicata nel 1939.

Atmosfere vivide e visionarie si mescolano tra le pagine sempre più ricche di elementi ambigui, spesso contraddittori, e danno vita a storie in cui la concretezza quotidiana si fa astratta e onirica, traccia di un’intima ricerca di definizione stilistica.

L’andamento scomposto e frammentato dei singoli racconti si compone in un quadro unitario, non sempre semplice da cogliere per il lettore, al quale sembra rivolto l’invito di lasciarsi trasportare dalle parole, dalle percezioni sensoriali che le immagini evocano.

Esseri animati e inanimati non vivono in un rapporto di disparità, ma entrano in relazione nella dimensione immaginativa, che ogni episodio rappresenta in modo nuovo e unico. Il linguaggio tenta di volta in volta di adattarsi al contesto, attento al peso della tradizione letteraria che contiene, e allo stesso tempo pronto a diventare forma di significati indefiniti, in grado di riprodurre lo stato degradato dell’uomo novecentesco.

Alla luna silenziosa e vergine di Leopardi, Landolfi ne sostituisce una simile a una vescica di strutto. Viscida, essa emette una luce madreperlacea, come quella di una medusa, sguisciante tra le mani di un uomo che non nasconde il suo disprezzo, il puro risentimento nutrito nei confronti di colei che ha il potere di trasformarlo in lupo mannaro.

I neologismi, le ripetizioni, i toni grotteschi e la miscellanea di oggetti si fondono così in un tutto indefinito e deformato, che si esplicita e si nasconde nel rappresentare significati inesauribili.

Nel racconto Da: l’astronomia esposta al popolo, nozioni d’astronomia sideronebulare Landolfi sviluppa un piccolo trattato sulla completezza dell’astronomia e dei suoi principi. Immaginando di scrivere nel 2050, l’autore utilizza un linguaggio strabordante di tecnicismi, spesso frutto d’invenzione, in grado di rappresentare l’inaccessibilità delle scienze positive, e la necessità di riferirsi ad un modello astratto per descrivere la limitatezza umana all’interno della pluralità di mondi, situazioni e letture, che di essa si possono fare.

Ecco un esempio di quello che Italo Calvino, nel discorso sull’Esattezza delle sue Lezioni Americane, definisce come “bisogno di un modello cosmologico”, che interessa indistintamente gli artisti della parola, attraverso cui “l’opera letteraria acquista senso, non fisso, non definitivo, non irrigidito in un’immobilità minerale, ma vivente come un organismo”. Sono proprio sistemi vivi, complicati e pulsanti, i personaggi che popolano i racconti di Landolfi, e le loro metamorfosi emotive emergono in una cruda espressività immaginifica.

Nel suo apparente disordine, la struttura della raccolta è costruita abilmente secondo uno schema simmetrico e organizzato. I racconti intessono tra loro un rapporto fatto di profondi richiami tematici e compositivi, per andare a creare un insieme di frammenti, che si specchiano l’uno dentro l’altro. Il bisogno di dar vita alla molteplicità si esprime attraverso il confronto tra gli opposti, spesso nascosto per far divertire il lettore e renderlo protagonista nella riflessione su se stesso. La relazione tra genitori e figli apre e chiude la raccolta e la cosmologia, con i suoi toni declamatori, è affiancata al teatro, che l’uomo vive da attore o regista, il tutto arricchito da alcuni oggetti ricorrenti, che suscitano emozioni discordanti a seconda delle situazioni in cui sono inseriti.

Il tono divertito e disincantato dell’autore svela una nota malinconica di sottofondo, che, convivendo con la stravagante puntualità terminologica, contribuisce a dimostrare la sua posizione mai univoca. Landolfi riflette sulla condizione umana, fatta di impazienti e desiderose attese, che, se realizzate, si consumano, perdono fascino e acquisiscono il peso della banalità. Uno sguardo sull’umanità, che spesso si augura di difendersi dall’emotività dirompente con il superbo e vano tentativo di imparare a giudicare oggettivamente il mondo.

La lente d’ingrandimento dell’autore si muove freneticamente e fa entrare l’uomo in relazione con la dimensione inquietante dell’immaginazione, lo fa specchiare nella sua umiltà, nelle sue ossessioni e aspirazioni deformate, nei suoi vili e arroganti comportamenti quotidiani, consapevole che forse è meglio non indagare troppo, d’altronde è un caso, ci siamo trovati sulla Terra per via d’una coincidenza con chissà quale altra linea internebulare.

 IL MAR DELLE BLATTE E ALTRE STORIE

di Tommaso Landolfi, Adelphi, Milano 1997

foto: dipinto di M.C. Escher, Encounter, 1944

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