Intimo, apparentemente anonimo ed enigmatico, La Spada “ricolloca” continuamente il lettore in microcosmi differenti, brevi e conchiusi. Tutti i racconti, diversi l’uno dall’altro, privi di una continuità, sembrano scandagliare da diversi punti di vista una unica soggettività, un unico vissuto, in dimensioni e in contesti eterogenei. E’ come se l’autore rivedesse e ri-narrasse le storie, le vicende, i documenti di un mondo a cui appartiene -vi sono infatti molti riferimenti autobiografici- e di cui vuole lasciare traccia, presentandolo in modo ora realistico, ora metaforico, osservandone i diversi piani: quello animale, come nel racconto Colpo di sole, o Il racconto di una piattola, quello naturale, come nel racconto Il fuoco, e Da: la melotecnica esposta al popolo e quello umano. In queste “osservazioni” egli porta alla luce un sentire comune, condiviso, un senso di perdita, di fine, una fine a volte silenziosa,misteriosa, assurda. Ogni piano della realtà è colto da una morte inspiegabile, incluso l’uomo. Nel racconto Nuove rivelazioni della psiche umana, L’uomo di Mannheim ci troviamo nel bel mezzo di una sorta di conferenza tra cani. Uno di loro discute della capacità degli uomini di pensare, di alcuni esperimenti compiuti su un esemplare di uomo e dell’ipotesi secondo la quale gli uomini fossero anticamente la razza dominatrice sulla Terra e avessero raggiunto lo stesso grado di civiltà dei cani molto prima di loro, per poi, successivamente, essersi inspiegabilmente estinti, e se, infine, tale destino avrebbe potuto riguardare, in futuro, anche gli stessi cani. Una critica della tradizionale concezione cinocentrica.
Un esempio affascinante e riccamente ambiguo, forse metafora di una imminente e misteriosa fine dell’uomo, la cui esistenza è destinata a cadere nell’incertezza, ad essere solo ipotizzata, oppure dimenticata. Forse potrebbe trattarsi di un uomo divenuto animale, divenuto cane, che non riesce più a vedere se stesso come uomo, che tratta se stesso come un animale; come un oggetto di esperimenti attraverso i quali non riesce più a ritrovare la sua umanità… L’unica cosa che gli rimane da fare consiste nel cercare le tracce di un’umanità inspiegabilmente perduta.
Ogni singolo racconto, nelle situazioni più sobrie e concrete, così come nei contesti immaginari, è un mondo a sé, colto nella sua realtà più semplice, nelle sue particolarità più elementari. E’ come se in ognuno dei racconti si generasse un’armonia sempre diversa, in cui il lettore è per così dire “accolto”. Un aspetto del libro che sicuramente stupisce è, infatti, proprio questa grande molteplcità di contesti, di scenari e di situazioni. Nella loro semplicità, apparentemente muta, si cela in realtà la continua ricerca di un senso della fine, della perdita e della morte; uno sguardo oggettivo e prossimo in questi momenti costitutivi dell’esistenza. Uno sguardo che, a una prima lettura, sembra essere quasi velato dal carattere immaginario o metaforico di alcuni racconti, dalla loro differente e a volte imprecisata collocazione temporale, dalla loro generale e multiforme eterogeneità che disorienta e confonde il lettore, suggerendogli differenti prospettive di lettura irrelate e costitutive, allo stesso tempo, dell’aspetto affascinante dell’intero libro.
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