scritto da Riccardo Brunetti e Francesco Formaggi
regia di Riccardo Brunetti
prodotto da Project XX1
performer Adriana Gallo, Adriano Salieri, Alberto Mosca, Alessandro D’Ambrosi, Alessandro Di Somma, Alfredo Pagliuca, Annabella Tedone, Anna Maria Avella, Azzurra Lochi, Chiara Capitani, Costanza Amoruso, Daniele Califano, Diego Migeni, Elisa Poggelli, Elisabetta Mandalari, Gabriella Indolfi, Giulia Scenna, Matteo Cirillo, Matteo Minno, Riccardo Brunetti, Sandra Albanese, Sarah Nicolucci, Silvia Ferrante, Valeria Marinetti
staff Filippo Cavicchioni, Marta Chiogna, Emanuele De Simone, Paola Caprioli, Felice David, Ascanio Modena Altieri, Emmanuele Mazzuca, Claudia del Gatto, Fabiana Reale, Emiliano Trimarco, Amanda Lochi
costumi Sandra Albanese
sarta Rosanna Notarnicola
responsabile maschere, set-up e bleeding Silvia Ferrante, Anna Maria Avella Alfredo Pagliuca
allestimento Project XX1 e Accademia delle belle arti di Frosinone
performer addizionali Alessandro Londei, Benedetto Farina, Guido Rossi, Rogger Rios Lopez, Matteo Poggelli, Emiliano Trimarco, Giuseppe Caprioli, Felice David
in collaborazione con Associazione Culturale Controchiave, Cinecittà World, Teatro Studio Uno, Accademia di belle arti di Frosinone, Circolo degli Illuminati
Roma, 12 luglio 2017
La fleur – il fiore proibito è un’esperienza di teatro immersivo che coinvolge lo spettatore nella sua interezza, risvegliandone la curiosità, richiedendone la partecipazione attiva per seguire l’evento. Libero di poter girare indisturbato, lo spettatore cammina nello spazio scenico abitato dai personaggi seguendone le attività.
Project XX1, con la regia di Riccardo Brunetti in veste anche di autore del soggetto insieme a Francesco Formaggi, allestisce uno spettacolo che ruota intorno allo spettatore, ricreando un ambiente criminale ritagliato nel piano di un palazzo del quartiere della Garbatella, animato da personaggi di stampo cinematografico che si intersecano, rispettando tempistiche ed incontri sul set – così viene da definirlo – di questo intricato mistero urbano.
La modalità di fruizione dello spettacolo è indubbiamente innovativa e porta ad un iniziale spaesamento: è difficoltoso seguire la trama perché risulta complesso rimanere in contatto con uno solo dei personaggi, si è puntualmente distratti da un’altra vicenda, un’altra dinamica che si svolge nella stanza affianco. Subentra però una graduale consapevolezza: non è necessario seguire le parole precise per comprendere la storia. Non siamo di fronte ad un semplice concatenarsi di azioni cronologiche da annotare per seguire il filo logico, piuttosto essa è una continua trasmissione attuata attraverso il comportamento dei personaggi, le loro movenze, alcune delle frasi che sussurrano fra loro, dall’ambiente circostante. La fleur è un luogo, un’atmosfera che racconta la storia, e gli spettatori diventano delle spie silenziose che prendono parte dell’intrigo, che analizzano il mistero, circondati da segnali, spinti dal sentore di dover risolvere qualche malefatta. Per questo va fatto un plauso all’allestimento degli spazi scenici, alle tempistiche incastrate perfettamente e al cast maschile – quello femminile risulta carente e macchiettistico. Guardare le stanze di ciascuno, seguirli nella loro intimità solitaria permette a ciascuno spettatore di creare una visione soggettiva dello spettacolo, regalando quindi un’emozione personale. L’impianto scenico globale – così è da definirsi per tutte le parti chiamate in causa – è frutto di attente decisioni: uno di queste è quella di far ripetere la vicenda per tre volte prima del finale, in modo da dare al pubblico la possibilità di costruirsi più punti di vista, di colmare i piccoli vuoti.
Nonostante la bravura attoriale degli interpreti maschili, resta comunque incerto il contributo registico sul lavoro degli attori, che sembrano lasciati un po’ a loro stessi – questo si evidenzia soprattutto nella controparte femminile. Viene da fare qualche altro appunto: ci si chiede perché la colonna sonora debba essere di stampo cinematografico tarantiniano, vincolo che obbliga quasi lo spettatore a visionare il complesso lavoro solo in quell’ottica. La musica risulta un supporto all’atmosfera del lavoro che avrebbe potuto basarsi unicamente sull’interpretazione degli attori seguiti con maggiore attenzione dalla regia; ultimo punto che risulta sfuggevole è il coinvolgimento del pubblico nell’opera come di un possibile investitore/collaboratore dei progetti di questa famiglia invischiata nella criminalità organizzata. Forse bisognerebbe puntare su un’integrazione maggiore di questa controparte, oppure riportarla ad una condizione di fantasma, spia silenziosa che ascolta e sa.
La fleur è il risultato di un lavoro di qualità che può essere ulteriormente raffinato e che può sbocciare per le potenzialità che possiede.