Riccardo de Torrebruna: Zoo Paradiso

0

Dopo il debutto all’Actors Studio di New York nel 1996 con la regia di Susan Batson, Riccardo de Torrebruna riporta oggi in scena Zoo Paradiso, un coinvolgente spettacolo sul lungo assedio della città di Sarajevo, di cui ricorre quest’anno il ventennale. A Roma, al Teatro Spazio Uno, fino al 3 marzo 2013.

La recensione è di Fanny Cerri e Luca Sarcinelli. La foto è di Stefano Giustini.

Zoo Paradiso

Di: Riccardo de Torrebruna

Con: Riccardo de Torrebruna, Jonis Bascir, Margherita Mannino

Regia: Riccardo de Torrebruna

Scene e costumi: Sabrina Beretta

Luci e fonica: Daniele Gratissi

Fotografo di scena: Stefano Giustini

Produzione: Trousse di Giorgio Granito

Dal 21 febbraio al 3 marzo 2013 – Teatro Spazio Uno, Roma

Vai al sito di Riccardo de Torrebruna

Tutti ricordiamo con precisione dove eravamo l’11 settembre del 2001, quando ci arrivò la notizia dell’attentato alle Torri Gemelle. Nessuno di noi saprebbe invece dire dove si trovasse nel 1992, quando cominciò l’assedio di Sarajevo. Il motivo è semplice: si è trattato del più lungo assedio del secolo scorso. Siamo stati in innumerevoli posti, mentre quell’assedio durava.

Con Zoo Paradiso, Riccardo de Torrebruna ci riporta bruscamente indietro nel tempo, all’interno dello zoo di Sarajevo, dove gli spari assidui, incessanti dei cecchini, costringono animali ed esseri umani al confronto ineludibile con l’imminenza della morte.

Due uomini di etnie avversarie, Mustafa – impersonato da un intenso Jonis Bascir – e Milutin – Riccardo de Torrebruna –, sono costretti alla convivenza in un claustrofobico antro dello zoo, sotto gli spari di un invisibile četnik, quasi un dio, cinico, indifferente e armato di fucile. Ma l’uccisione di Sanja, una giovane etologa – l’eterea Margherita Mannino -, anch’ella prigioniera nello zoo, porta allo scoperto il conflitto fra i due superstiti, i quali non possono più evitare il confronto con sé stessi, mettendo a nudo le loro reali personalità.

Così, mentre Mustafa vive da subito l’incontro con l’Anima e afferma con forza la propria spiritualità, che affonda radici nel rapporto con la natura animale, Milutin rimanderà l’incontro con le sue profondità agli ultimi momenti della sua vita, preferendo fino alla fine riportare costantemente l’accento sulla bruta materialità della sopravvivenza.

Nel frattempo, gli uccelli della voliera smetteranno di cantare e anche l’ultimo orso, animale sacro per eccellenza – ma non nella città assediata di Sarajevo – esalerà il proprio ultimo rantolo.

L’intenso lavoro degli attori immerge con verità lo spettatore nel profondo della conflittualità umana, sia essa etnica, sentimentale, religiosa. La vita interiore dei personaggi è resa con precisione estrema; all’uscita, lo spettatore avverte la strana sensazione di essere stato per un po’ egli stesso protagonista di quell’assedio infinito.

La scenografia di Sabrina Beretta restituisce con mezzi semplici ma efficaci l’atmosfera del progressivo disfacimento umano in condizioni di vita disperate; raffinato anche il lavoro sulle luci e sui suoni di Daniele Gratissi.

De Torrebruna ci regala un testo – vincitore del Premio Enrico Maria Salerno per la Drammaturgia – denso di suggestioni, che rimette in contatto ognuno di noi con alcune profonde riflessioni esistenziali: il tempo come creazione individuale, il dilemma fra l’adesione alla norma sociale e il richiamo dell’istinto di sopravvivenza, il sottile filo che lega la vita, l’amore e la morte.

 

Print Friendly, PDF & Email
condividi:
   Send article as PDF   

Autore

Redazione

Lascia un Commento

Continuando ad utilizzare il sito, l'utente accetta l'uso di cookie. Più info

Le impostazioni dei cookie su questo sito sono impostati su "consenti cookies" per offrirti la migliore esperienza possibile di navigazione. Se si continua a utilizzare questo sito web senza cambiare le impostazioni dei cookie o si fa clic su "Accetto" di seguito, allora si acconsente a questo.

Chiudi