ricci/forte: Still life

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foto: Daniele + Virginia Antonelli

Uno dei teatri più prestigiosi di Roma, il Teatro Argentina, ha ospitato Sill life l’ultimo lavoro di ricci/forte, in occasione del ventesimo anno della rassegna GAROFANO VERDE, scenari di teatro omosessuale.

 

Still life

drammaturgia: ricci/forte

movimenti: Marco Angelilli

direzione tecnica: Davide Confetto

assistente alla regia: Claudia Salvatore

regia: Stefano Ricci

con: Anna Gualdo, Giuseppe Sartori, Fabio Gomiero, Liliana Laera, Francesco Scolletta.

produzione: ricci/forte con il sostegno di Teatri di Romahttp://www.pensieridicartapesta.it/wp-content/themes/editorial_old1/includes/woo-column-generator/js/img/trans.gif

dove: Teatro Argentina, Roma

quando: 25 giugno 2013

Il lavoro di ricci/forte, portato in scena da cinque performer, è di grande impatto emotivo ed estetico. Come da copione, seguendo la linea poetica e drammaturgica dei due registi, anche qui ci troviamo a contatto con temi sociali molto attuali: non si tratta solo del lungo calvario che si vive in Italia a proposito dell’esasperante rapporto dell’omosessuale nella società, ma soprattutto si tratta di disagi estesi che toccano, come dichiarano gli stessi creatori, argomenti di bullismo, argomenti di vite spezzate con una sciarpa rossa che cinge il collo.

 Si utilizzano citazioni importanti, come quelle del Presidente della Repubblica, associate ad una lavagna perennemente presente, ma in secondo piano, che viene riempita di grafici in cui la nostra nazione risulta sempre, ovviamente, il fanalino di coda.

E’, quella dei cinque performer, una denuncia, una protesta fatta con facce di Paperino, con piume e candele, con acqua e monologhi. Insomma, di tutto un po’ per arrivare ad un ridondante messaggio che prevede anche l’interazione con il pubblico presente in sala. Un’interazione alla ricci/forte ovviamente, in cui la distanza viene annullata, in cui lo spettatore nel momento finale diventa protagonista, aggiungendo la sua voce a qualcosa di più grande. Una voce che narra ricordi di  terre lontane, momenti in cui si localizza il disagio ad Istanbul, terra di confine per eccellenza, momenti di speranze per il futuro di un bimbo che non esiste ma che comunque già, tramite il desiderio di un genitore “sbagliato”, subisce le speranze di una vita diversa da quella che non possiede.

Risulta un grande investimento tecnico quello che vediamo al teatro Argentina. Sembra che il lato estetico, l’esterno dal performer, lo strumento, sia il vero protagonista della scena: l’artista è solo uno strumento per attivare l’eclettico dell’oggetto.

Still Life ci mostra alcune scene crude, e intendo crude nella sua accezione più carnale possibile. Troviamo immagini che ricordano le varie edizioni della Flagellazione di San Sebastiano, di cui ognuno di noi ha memoria scolastica, oppure la manipolazione di cuori sbattuti sul tavolo del macellaio e distrutti, smembrati con la massima fantasia che uno strumento possa offrirci.

Sul fondale vengono proiettate parole, frasi, di contorno alle vicende recitate e lette dagli uomini in scena. Una di queste, comparsa nella prima metà del lavoro, ci spiegava che l’essere umano si differenzia dagli altri animali perché dà importanza all’individuo, e non al genere.

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