Silent City di Anna Threes è una pellicola in cui lo spettatore, attraverso la protagonista Rosa, avverte completamente lo scarto tra Oriente ed Occidente e il disagio da questo creato. Il film è stato presentato in concorso nella sezione Feature Film Competition alla XII edizione del Riff.
Silent City, di A. Threes, Ola 2012, 90’
Sceneggiatura: Anna Threes
Fotografia: David Williamson
Montaggio: Wouter Jansen NCE
Scenografia: Rosie Stapel
Musica: Jerome Reuter
Suono: Marc Lizier
Produzione: KeyFilm, Samsa, Skyline Entertainment
Interpreti: Laurence Roothooft (Rosa), Makoto Makita, Ayako Kobayashi, Shinji Otani
Silent City ci porta a confondere la cute umana con le scaglie del pesce, come se fosse in atto una mutazione non fisica, ma culturale. Rosa è una ragazza olandese che ha deciso di trasferirsi a Tokio per perfezionare l’arte di cucinare il pesce presso il rinomato chef Kon, uomo con l’aura da guru glaciale. La sua voglia di fare e il suo ottimismo si scontrano ben presto con le difficoltà derivanti dall’incontro con una cultura sconosciuta, chiusa. Ciò che colpisce nello scarto tra Rosa e il Giappone è proprio la differenza del modus vivendi.
Le difficoltà di comprensione si manifestano fin da subito tramite l’incomunicabilità linguistica che notiamo mirabilmente nella scena in cui Rosa urla in lacrime nel mezzo di una stazione della metro: «Does anyone speak english?» Di fronte a questa esplosione di emotività inaspettata nessuno ovviamente le risponde. Non c’è semplice menefreghismo, tutti sono dediti piuttosto a far qualcos’altro. Da questo punto di vista la scelta di non sottotitolare i dialoghi in giapponese è davvero azzeccata poiché fa calare lo spettatore ancora di più nei panni della protagonista, il cui disagio viene addirittura aumentato dalle musiche orientali decisamente stranianti di fronte al faticoso processo d’integrazione nella cultura orientale. Pulire il pesce da chef Kon non è un apprendistato lavorativo, ma filosofico: proprio per questo i ragazzi non vengono pagati. Per sopravvivere, Rosa, tenace nel cercare di ottenere il suo scopo, decide così di lavorare in un club in cui si ripropone tutto il fastidio psicologico e sociale palesato finora. La ragazza traballa tra la voglia di fuggire e la tentazione di rimanere e il finale renderà pienamente giustizia a questo confronto.
Nel silenzio dell’io solitario di Rosa, Silent City si propone come un cammino esperienziale, un film in cui s’immagina contemporaneamente la scissione tra il sapore delizioso del pesce giapponese e l’olfatto infastidito all’interno di una pescheria.
Anna Threes è al suo secondo lungometraggio; il suo film si basa su un’esperienza biografica tradotta alcuni anni fa in libro. Con una regia interessante, leggermente onirica, ovviamente dedita a uno scavo del soggetto, Threes ci fa immedesimare molto bene in Rosa e nel suo tentativo di penetrare una cultura affascinante come quella giapponese che nei suoi occhi assume, con il contrasto paradossale del binomio amore-odio, un afflato metafisico freddo e difficilmente penetrabile se non attraverso la comprensione del mistero del pesce come mistero totale e totalizzante dello scarto tra Oriente e Occidente.