di Heinrich Böll regia Roberto Negri traduzione Amina Pandolfi adattamento teatrale di Stefano Skalkotos con Stefano Skalkotos, Chiara Condrò e Alessio Caruso con la straordinaria partecipazione in voce di Lella Costa, Cosimo Cinieri, Massimo Giuliani, Daniele Giuliani musiche Marcello Fiorini scene e costumi Rossella Ramunni, Lab Area 5 supervisione artistica Federico Vigorito organizzazione Flavia Ferranti una produzione Compagnia “Tiberio Fiorilli” in collaborazione con Officina Dinamo e Area 5 con il Patrocinio de l’Ambasciata della Repubblica Federale di Germania8 novembre 2015, Teatro della Visitazione
A trent’anni dalla morte di Heinrich Böll, all’interno della rassegna Contesti Contemporanei – direzione artistica di Federico Vigorito – il Teatro della Visitazione ha ospitato la mise-en-scène di uno dei romanzi più celebri del romanziere tedesco: Opinioni di un clown.
La scena è intima: rappresenta la stanza polverosa del nostro protagonista, un clown che da poco ha avuto un infortunio al ginocchio, cosa che lo costringe a stare in casa, zoppicante, fermo. L’immaginazione non lo abbandona mai, e così i ricordi, che come spettri tornano a fargli visita, a risvegliarlo da quel torpore di depressione che è sempre in agguato in un artista costretto all’inattività. Hans – il nostro clown, interpretato da Stefano Skalkotos – si ritrova così a parlare in solitudine, raccontando le opinioni sfumate sui fatti che riguardano la sua vita e le persone che ne fanno parte, i suoi progetti, i sogni infranti. Di ogni piccola vicenda – che ironicamente decide di registrare su un supporto vocale – è evidente il vissuto emotivo, che rende estremamente personale il racconto: ogni emozione provata è estremamente precisa, Hans ne ha la quasi la completa conoscenza, seppur il provarla lo renda quasi deluso, seppur questa venga detestata fino al midollo proprio perché lo rende vulnerabile agli occhi di chi partecipa alla sua vita.
La regia è semplice ma intelligente perché segue il percorso di un testo cerebrale e complesso senza alterarlo, aggiustando con alcuni accorgimenti scenici i momenti d’interazione che spezzano il soliloquio del protagonista. Il commento musicale di Marcello Fiorini si sposa bene con l’atmosfera della stanza di Hans, e funge spesso da raccordo con i ricordi sparsi nella sua memoria.
Un clown è una figura buffa, che intrattiene gli spettatori senza parlare. È necessaria una profonda coscienza della creatività emotiva per renderla evidente attraverso il corpo, senza l’ausilio della parola. La delicatezza e la fragilità sono fondamentali per l’arte di un clown, come la purezza. Ed è la purezza che rende Hans così triste, così diverso, così incomprensibile agli occhi di chi guarda. Anche coloro che dicono di amarlo diventano spettatori della sua esistenza, sforzandosi di capirlo e riportando la colpa del non volersi far comprendere unicamente a lui. Toccante l’incontro con l’elegante e austero padre, interpretato da Alessio Caruso: un incontro tutt’altro che facile, tutt’altro che piacevole, ma che nasconde il profondo bisogno umano di avvicinarsi a qualcuno. Hans sembra chiedere aiuto a tutti, ma in realtà è lui a dispensarne, è lui ad essere l’unico a rielaborare disperazione e tristezza, creando arte. E forse per questo il suo soliloquio non è deprimente, ma confortante. Gli spettatori, che hanno assistito silenziosamente all’intimità del ricordo di Hans come granelli di polvere sospesi nella quiete della stanza, sono grati, come si dovrebbe essere grati a chi decide, come missione, di intrattenere i cuori solitari delle persone.