Roma Fringe Festival 2015, Luogocomune | Panic Ideazione e coreografia Luogocomune Interpreti Maria Elena Curzi, Chiara Pacioni, Silvia Franci, Eva Grieco Musiche Davide D’Angelo, Manuel Volpe, Daniele Colocci Disegno luci Maria Elena Curzi Compagnia Luogo Comune – Associazione Con.Cor.Da Roma Fringe Festival giardini di Castel Sant’Angelo, palco A 17 giugno 2015, 23:30
“Chi si perde s’agita” – proverbio surrealista – è la chiave di lettura di Panic, creazione della compagnia Luogocomune in concorso al Roma Fringe Festival: un viaggio borderline tra finzione e assurdo, tra oniriche visioni e lapsus freudiani improvvisi, in cui il raziocinio perde ogni potere, e lo smarrimento fisico e mentale dell’individuo diventa un nuovo modo di stare e muoversi.
La performance dal ritmo “iconografico” è costruita sul fraseggio dato dall’alternanza di immagini per lo più statiche e sospese, dal sapore metafisico, a operazioni di rottura improvvise che deformano l’immaginario onirico caricandolo di tensioni e atti nevrotici, come a voler destare lo spettatore da un sonno profondo e catapultarlo in modo brusco nel quotidiano.
In questo paesaggio surreale, frutto del continuo montaggio di quadri-episodi sconnessi fra loro, è palese il nonsense spaziale e temporale dello sviluppo dell’azione: in scena l’accostamento di elementi e dinamiche opposte invece di creare un annullamento ha come risultato un forte shock percettivo nel quale è possibile solo perdersi senza pretese di comprensione logica.
Così dilatano e rompono lo spazio scenico l’avanzata lenta e geometrica di una donna-lampadario, dal corpo umano e dalla testa cubica color neon; l’irruzione di una bambola-robot schizofrenica dal sorriso assassino; le luci psichedeliche e gli abiti kitch di un’eccentrica pista da ballo; un uccello-fauno vestito di piume dai toni fluo che mima movimenti densi e trattenuti del celebre balletto de l’Aprés-midi d’un faune; e successivamente le sue ninfe: prima angeliche, racchiuse in un’aurea sacra fatta di gestualità liturgica in loop, poi goffe e grossolane, intente a divorare la mela proibita che prima tenevano delicatamente tra i denti.
Nel quadro finale si dilata la reiterazione di partiture fisse in una sintesi di oggetti e tratti comparsi nelle scene precedenti che investono completamente le quattro perfomer. Il processo in crescendo diventa un climax che finisce per implodere su se stesso, portando al disfacimento la macrostruttura e risucchiando le quattro danzatrici, allucinate e scomposte, per bloccarle poi in una stasi vuota e piatta: è lo scioglimento del luogo ipnotico e surreale.
La composizione è un duello continuo tra suono, dinamica e simboli. La modalità casuale su cui sembrano impostati crea una linea drammaturgica priva di nessi e consequenzialità concreta, che trattiene sospesa ogni situazione, in balia dell’inaspettato. L’apparente mancanza di riferimenti e schemi tangibili, fa cogliere in maniera più diretta e senza mediazione alcune suggestioni rimosse, rivelatrici di una dimensione altra, inconscia, che non è dato confessare ma che viaggia silenziosa sotto la superficie della consuetudine.