con Antonio Rezza
quadri di scena Flavia Mastrella
(mai) scritto da Antonio Rezza
assistente alla creazione Massimo Camilli
disegno luci Maria Pastore
4 Settembre, Roma Fringe Festival, Roma
Quando si affonda nelle poltrone prima di uno spettacolo di Antonio Rezza la sensazione che in modo subitaneo invade il corpo e la mente potrebbe essere riassumibile con la domanda: << E ora? Cosa mi aspetta?>>. Sul palco la scenografia sempre differente e innovativa ideata da Flavia Mastrella unicamente a servizio dell’attore e l’attore, Antonio Rezza – spesso solo negli spettacoli visionari in cui guida il pubblico –, classe 1965, con il suo strumento primario e più potente, il suo corpo, che fa della scenografia il suo regno, il suo parco giochi. Il binomio Rezza-Mastrella è oramai consolidato da anni; raccontava l’attore novarese in un’intervista: << con lei faccio ricerca sedici ore al giorno per mettere a punto qualcosa di facilmente trasportabile, da rappresentare ovunque. Lei inventò quadri di scena di due metri e io mi ci muovevo dentro e fuori>>.
In Io Rezza e Mastrella creano un mondo a pezzi di personaggi esauriti, disumani, individualisti, in preda ad imprese impossibili, intrappolati nei loro alveari e un “io affacciato sul mondo terzo dove scopre che, tra piaghe e miseria, serpeggia l’appetito non supportato dalla tavola imbandita “. Lo spettacolo, riportato sul palcoscenico dopo dodici anni, è preceduto da una proiezione di Troppolitani ( Fuori dove? ) programma televisivo comico-satirico a puntate curato sempre dai due artisti nel quale l’attore, presente nel corto, intervista persone comuni, passanti di ogni età, prendendo spunto da ciò che regala il momento e dagli intervistati stessi, stuzzicandoli e rendendoli spesso ignari del gioco comico che lo stesso Rezza intesse intorno a loro con le sue domande. Gli intervistati sono delle individualità incarnanti i vari modelli di pensiero di una più vasta società, sono diversi Io, spesso non meno strambi e straniati dai personaggi distorti e spietati ai quali Rezza da voce e corpo durante lo spettacolo. Stralci di attimi in una cornice apparentemente simile al ritmo e al linguaggio quotidiano che degenerano in situazioni grottesche, in cui si manifestano le umane paure, i primitivi istinti che troppo spesso blocchiamo sul nascere, un microfono dentro la parte marcia o, paradossalmente, dentro la parte più limpida dell’essere umano, un intero palco a disposizione per soliloqui che si fanno largo in un compiaciuto sragionamento; e così, in questo habitat colorato e dinamico il corpo dell’attore si spezza, si frantuma e i suoi pezzi si isolano dall’intera struttura quotidiana quale è il corpo e vivono una loro autonomia drammaturgica distruttiva e istruttiva.
Nonostante sia drammaturgicamente e scenicamente meno potente rispetto ai successivi spettacoli che hanno accompagnato la carriera dell’attore – un filo conduttore debole e ritmo più lento rispetto agli spettacoli più recenti –, come al solito Rezza usa corpo e voce in modo sapiente e dinamico, scardina i parametri classici di teatralità, rompe la quarta parete, diverte, provoca e, turbinosamente, disorienta.