Roma RIParte: "Si l'ammore no" e "XXX Pasolini"

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Sì, l’ammore no
di e con Elvira Frosini e Daniele Timpano
disegno luci Dario Aggioli
registrazioni audio a cura di Marco Fumarola, Dario Aggioli, Lorenzo Letizia
XXX Pasolini
scritto e diretto da Fabio Massimo Franceschelli
con Francesca La Scala, Carlotta Piraino, Alessandro Margari, Alessandro Porcu, Matteo Davide
produzione Ass. Cult. amnesiA vivacE, Ass. Cult. Figli di Hamm
in collaborazione con Consorzio Ubusettete
 
26 settembre 2012
Teatro Piccolo Eliseo, Roma

Doppio appuntamento serale al Piccolo Eliseo, con due spettacoli strutturalmente simili, dall’argomento molto diverso e accomunati dall’essere stati entrambi finalisti, in diverse edizioni, del noto Premio Dante Cappelletti.

Sì, l’ammore no, di e con Elvira Frosini e Daniele Timpano, presenta una dirompente molteplicità di linguaggi – partiture fisiche, monologhi, parti cantate, spezzoni audio, scene a due, interazione col pubblico -, utile a navigare, con l’ironia che già il titolo fa presagire, gli stereotipi sugli uomini, sulle donne e sui rapporti tra i primi e le seconde. Tema portante e dichiarato è che l’uomo romantico è intrinsecamente fascista e che la donna che accetta questo modello non fa che rinunciare a parte della propria dignità. In effetti, forse un cuore non andrebbe tanto conquistato, come si trattasse di una guerra – dove la sconfitta finisce poi per essere pure grata al vincitore -, ma avvicinato… Nell’alternarsi dei quadri, tra cui spiccano il dissacrante sposalizio, la divertente intervista ai poveri spettatori e il quadro finale il cui senso è dato dal sovrapporsi di canzoni popolari apparentemente lontane tra sé, ma in realtà assai vicine, i due artisti hanno portato in scena non solo il matrimonio di Daniele ed Elvira, ma anche dei propri linguaggi, facendone nascere un terzo, ibrido, di cui si fatica a dire se assomigli di più a mamma o papà – ma è davvero un problema?

Atmosfere completamente diverse quelle di XXX Pasolini, lettura interiorizzata dell’autore e regista Fabio Massimo Franceschelli dell’opera pasoliniana tutta e in special modo di quella che avrebbe dovuto esserne la summa, l’incompiuto Petrolio. Se gli occidentali «non possono non dirsi cristiani», probabilmente i contemporanei non possono non dirsi pasoliniani: o in quanto interpreti del suo pensiero, o in quanto oggetti del suo pensiero. Così, emulando almeno da un punto di vista strutturale proprio il romanzo di Pasolini, a susseguirsi sulla scena sono dei frammenti – compiuti -: inquietanti, come quelli più chiaramente ispirati al romanzo, o grotteschi, come quelli più originali – in forma di spot, telegiornale, ecc. -, in cui più che sentire la voce del vate, siamo costretti a toccare con mano quanto le sue profezie fossero lucide. Un fil rouge sembra percorrere l’intero spettacolo, quello della dissociazione, quanto e forse anche più che nel romanzo di riferimento. L’esempio più chiaro è quella mostrata su più livelli dall’attrice che, di fatto, interpreta Pasolini – una borgatara che parla un linguaggio colto; il corpo di donna prestato al personaggio uomo -, ma tanto cupa è la visione offerta dal materiale, che la dissociazione pare offrirsi – o essere offerta – come rimedio mentale per fuggire da una realtà così gretta da apparire altrimenti insostenibile mentre l’efficacia, specialmente mimica, dei cinque giovani interpreti, ci costringe a specchiarci su superfici non sapremmo dire quanto deformanti.

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