Dall’8 al 10 marzo 2013, nell’ambito del festival Romaeuropa 2013, il Teatro Palladium ospita Poco lontano da qui, opera frutto della collaborazione tra Chiara Guidi, esponente della Socìetas Raffaello Sanzio, ed Ermanna Montanari, proveniente dalla scuola del Teatro delle Albe.
Poco lontano da qui
di e con: Chiara Guidi e Ermanna Montanari
suoni originali: Giuseppe Ielasi
ideazione luci: Enrico Isola
cura del suono: Marco Olivieri, Marco Canali
datore luci: Fagio
tecnici di produzione: Fagio, Danilo Maniscalco
direzione tecnica: Enrico Isola in collaborazione con Luciano Trebbi
realizzazione scene: squadra tecnica Teatro delle Albe – Fabio Ceroni, Fagio, Enrico Isola, Danilo Maniscalco, Giuseppe Maniscalco, Dennis Masotti
con la collaborazione di: Antonio Barbadoro
disegno del ciborio: Irena Kraljic
realizzazione costumi: Laura Graziani Alta Moda, A.N.G.E.L.O.
attrezzeria: Carmen Castellucci
foto: Cesare Fabbri
organizzazione: Valentina Bertolino, Cosetta Nicolini, Silvia Pagliano
produzione: Socìetas Raffaello Sanzio e Teatro delle Albe / Ravenna Teatro
Dall’8 al 10 marzo 2013 – Romaeuropa 2013, Teatro Palladium, Roma
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Nel descrivere Poco lontano da qui innanzitutto è necessario anteporre una premessa: per condividere il frutto del lavoro di Ermanna Montanari e Chiara Guidi è necessario distaccarsi dall’abitudine – forse malsana? – che l’uomo ha di capire – e sottolineo capire – e non comprendere. Usualmente ci si approccia a qualsiasi novità con una tendenza alla conquista, già prefigurandosi il fine ultimo di signoreggiare su quel nuovo territorio e di assoggettarlo al proprio dominio intellettivo. L’opera Poco lontano da qui è una provocazione a questa tendenza da moderni conquistadores che dilaga nella società contemporanea: la provocazione sembra voler distruggere non la comprensione in sé, ma la necessità che identifica il capire con il fine ultimo di qualsiasi metodo comunicativo. Il tentativo a cui le autrici sottopongono il pubblico è l’intensa esperienza della distruzione del linguaggio verbale, puntando all’obiettivo profondo del sentire comune.
La collaborazione tra le esponenti di due tradizioni differenti, il Teatro delle Albe e la Socìetas Raffaello Sanzio, sembra puntare a una ricerca che ritrovi la primitività della nascita della comunicazione verbale: una situazione originaria che ricordi ancora il valore del significante in quanto tale, deterioratosi col procedere dei tempi e con la corruzione dei linguaggi socialmente condivisi. La proposta non vuole essere un annichilimento della funzione comunicativa, quanto più una sperimentazione di metodi alternativi, nell’obiettivo di stimolare il risveglio di nuovi livelli di condivisione. Una folgorante frase di Chiara Guidi, tratta dal carteggio mantenuto con la sua collaboratrice durante la preparazione dell’opera, dichiara: «Penso che il pensiero dovrà scorrerci nel sangue … non nella testa.»
E’ per questo che, più che di dialoghi, il palcoscenico si popola di immagini e sensazioni: rappresentando un inno alla verità della vista e dell’immediatezza, sostenute già da Anna Politkovskaja e Karl Kraus. Le scene sono brutalmente dirette e causa della straniante tensione che percorre la platea.
Un tema ricorrente sembra la sporcizia. Il candore della scena, costruita di tende bianche e cornici di carta opaca, è contaminato da impalcature arrugginite, si macchia di un denso liquido nero e nasconde lame affilate. Nel corso della rappresentazione, narrazione degli scontri disarmonici tra due entità che si erano mostrate di una simpatia gemellare, lo sporco non solo invaderà il palcoscenico, ma distruggerà tutto ciò che da principio era sembrato intonso e pulito: i bianchi tendaggi saranno prima avvolti in un abbraccio di due anonimi moncherini e poi scardinati; l’intima veste di Chiara Guidi inquinata del liquido nero; nell’opacità delle cornici cartacee sarà la corrosione a creare espressività.
La successione di quadri insieme alla dolorosa empatia esposta nelle lettere di Rosa Luxemburg conduce alla descrizione del percorso che le due autrici hanno compiuto e che incitano il pubblico a compiere: è la rappresentazione della sofferenza generata dalla messa in discussione di se stessi e dalla negazione della propria identità per sperimentare l’incontro con l’altro; negazione necessaria per sentire – non capire! – l’altro, per raggiungere la com-passione di «un abbraccio amoroso all’intera natura», per raggiungere la Vita, in tutte le sue forme, anche se un poco lontano da qui.