Ed è tutto esaurito al Teatro Palladium che ospita per la prima volta nella capitale italiana la compagnia di Barcellona LA VERONAL, la quale si esibisce all’ interno del ricco programma del Romaeuropa Festival 2013, giunto quest’ anno alla sua 28esima edizione.
LA VERONAL – SIENA
Coreografia Marcos Morau in collaborazione con gli interpreti
Testo e Drammaturgia Pablo Gisbert – El Conde de Torrefiel
Interpreti Cristina Facco, Laia Duran, Manuel Rodríguez, Cristina Goñi, Anna Hierro, Ariadna Monfort, Lorena Nogal e Marina Rodríguez
Coprodotto da Mercat de les Flors – Barcellona (Spagna) e Hellerau – Dresda (Germania)
In collaborazione con El Graner, La Caldera, Centro de Artes Performativas do Algarve – Faro (Portogallo), Duncan Dance Center – Atene (Grecia), Dance Ireland – Dublino (Irlanda)
Creato nel contesto del progetto europeo Modul-dance con il sostegno del Programma Cultura dell’’Unione Europea
Con il sostegno di INAEM – Istituto Nazionale per le Arti dello Spettacolo e la Musica di Spagna e di Insitut Ramon Llull – Lingua e Cultura Catalana
Teatro Palladium, Roma, 27 ottobre 2013
Troneggia sul fondo del palcoscenico del teatro di Garbatella un enorme Venere di Urbino, almeno dieci volte le dimensioni reali dell’opera originale, custodita negli Uffizi della città rinascimentale d’eccellenza. Immediatamente l’occhio del pubblico è calamitato e catapultato nella dimensione fisica di una visita al museo. La figura femminile interamente nuda di Tiziano accompagnerà la prima parte dello spettacolo insieme alle tipiche panche di velluto rosso e al sorvegliante altissimo in abito nero, camicia verde e cravatta rossa; è chiara l’evocazione e la provocazione – se vogliamo – di Marcos Morau. Quando si passa a scene più astratte e meno realistiche, come una barella ospedaliera spinta da una donna vestita da comune passante e interpreti in abiti da scherma che danzano, è evidente che la volontà del coreografo spagnolo non è più volta ad omaggiare la culla del Rinascimento, ma a giocare con un collage multilaterale di input.
Dunque lo spettacolo si sviluppa tra canzoni popolari nostrane, arie di opere, frammenti di discorsi di Mussolini, richiami a Pasolini, voce narrante fuori campo inglese e italiano, applausi registrati riproposti ad intervalli regolari, trillo del telefono a mo’ di film horror, sottotitoli su un maxischermo con le parole pronunciate dagli attori in scena, che richiamano la realtà del museo e altro. Lo spettacolo è molto di più: il pezzo è pregno di continui riferimenti e rimandi, impossibili da cogliere nella loro totalità.
Tecnicamente tutti i dieci danzatori sono impeccabili e le sequenze di gruppo sono composte da dinamiche e movimenti incastonati tra loro in maniera incantevole; i microfoni a terra sono utilizzati per diffondere l’eco generato dai movimenti dei corpi, creando un bellissimo effetto di spazio ampio. Visivamente ipnotizzante la sequenza in duetto delle due danzatrici che si compensano e compenetrano come due parti della stessa entità: una nuda dall’ombelico in giù e l’altra dall’ombelico in su, esse formano una figura che si muove nello spazio, dai tratti sovrannaturali, quasi mostruosi.
Il linguaggio attraverso il quale si esprime il coreografo è estremamente astratto, opulento e ricco di elementi diversi tra loro, a tal punto che il surreale prende il posto della sfera comunicativa emotiva, troppe volte forse. Ciò nonostante tra la platea e la galleria del teatro non c’è un solo posto vuoto e il pubblico è entusiasta dello spettacolo.