testo, regia, interpretazione Elvira Frosini e Daniele Timpano
scene e costumi Alessandra Muschella
ideazione e realizzazione tecnica luci Marco Fumarola e Daniele Passeri collaborazione al disegno luci Matteo Selis luci Omar Selis e Martin Palma Romaeuropa Festival 2014 23 novembre 2014, Teatro dell’Orologio
Prosegue la rassegna del Romaeuropa Festival, che vede protagonista presso la Sala Orfeo del Teatro dell’Orologio la compagnia Frosini/Timpano con Zombitudine, rimasto in scena per tre settimane di repliche.
Prima di entrare nella sala, lo spettatore percorre un corridoio sporcato di luce verde che ricorda l’atmosfera di un b-movie sugli zombie: ad attenderlo un sipario rossastro chiuso, una valigia e i due corpi degli attori.
Il corpo di Daniele Timpano è steso sul proscenio in atteggiamento dormiente ,quello di Elvira Frosini è di spalle, in tensione, la testa sbircia attraverso il telo chiuso, tanto da spingere a domandarci cosa guardi.
Non si attende molto per avere una risposta: i corpi si risvegliano dall’immobilità e il loro dialogo ci racconta di un’apocalisse imminente, di un’invasione di corpi morti che minaccia la salvaguardia di tutto ciò che ci è più caro. Il pubblico, insieme a questa coppia dai vestiti sgualciti, fa parte di quella piccola percentuale umana che potrebbe salvarsi, che ha avuto l’opportunità di rifugiarsi in una sala teatrale riqualificata a bunker.Tutto ciò che resta fuori è destinato all’estinzione, coloro che abbiamo lasciato all’esterno sono ormai perduti, corrosi dal morbo dell’ indecisione e della completa disumanità cannibale. Non resta che scegliere un modo per contrastare l’ammorbante stato d’allerta; ed è questo a cui la platea viene spesso esortata, in un continuo scambio attore/pubblico, a prendere una posizione, che sia prediligere la parte dei vivi che accettano di morire senza ritornare oppure quella dei morti che camminano, che sono la maggioranza e che divorano impestando il mondo col loro fetore.
Lo spazio del teatro si mostra come quello di un rifugio angusto, un luogo spartito con persone senza alcuna speranza, disilluse dalla realtà che circonda, un luogo dove il tempo si dilata nell’attesa della catastrofe imminente. C’è poco o niente da fare, se non lasciarsi andare a riflessioni a ruota libera, a guizzi di disperazione e rabbia, ad una spasmodica ricerca di condivisione surreale sui social network dell’estenuante condizione di attesa.
Ma cosa dà la certezza che solo fuori si sia persa l’umanità? E se ciò che rappresenta il sipario chiuso, ovvero una linea di demarcazione fra quello che è dentro e fuori, fra ciò che è morto e che è vivo, si fosse da tempo sfaldato e dissolto, rendendo interscambiabili i ruoli di sopravvissuti e famelici mangia-cervelli?
Se il morbo della zombitudine fosse in potenza in ciascuno di noi, potrebbe essere una presa di posizione anche quella di accettare la propria condizione di zombi?
Il punto è che nessuno può dissociarsene, questo sembrano dire Elvira Frosini e Daniele Timpano con l’espressione “gli zombi siamo noi”. Il declino c’è perché noi non siamo in grado di contrastarlo.
Non ci resta allora che far aprire il sipario ed accettare la trasformazione, in un’atmosfera di fumi verdastri che in un dolceamaro contrasto ci riportano alla mente una romantica malinconia, fatta di piccoli gesti, di parole sussurrate che ci rendono umanamente vuoti.