Romaeuropa Festival: Call me God

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Al Teatro Argentina di Roma, la prima mondiale di Call me God, uno spettacolo scritto a quattro mani da Gian Maria Cervo, Marius von Mayenburg, Albert Ostermaier e Rafael Spregelburd, con la consulenza letteraria di Laura Olivi, che svela i paradossi dell’occidente contemporaneo attraverso la storia vera e surreale di un serial killer.

Call me God
Di: Gian Maria Cervo, Marius von Mayenburg, Albert Ostermaier, Rafael Spregelburd
Regia: Marius von Mayenburg
Consulenza letteraria: Laura Olivi
Con: Ensemble del Residenztheater di Monaco di Baviera
Scene e costumi: Nina Wetzel
Musiche: M. Beckenbach
Luci: Uwe Grϋnewald
Video: Sebastien Dupouey
Tecnologia video: Stefan Muhle
Suono: Matthias Reisinger
Assistente alla regia: Robert Gerloff
Assistente scenografo: Bärbel Kober
Direttore di scena: Johanna Scriba
Coproduzione: Teatro di Roma – Residenztheater – Romaeuropa Festival 2012, in collaborazione con Festival “Quartieri dell’Arte”
 

4-6 novembre 2012 – Teatro Argentina, Roma

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10 novembre 2009, Virginia: John Allen Muhammad, condannato a morte, viene soppresso con un’iniezione letale nel carcere di Greensville. Assassino seriale, ha ucciso almeno dieci persone, in una serie di agguati durati circa tre settimane, noti come Beltway sniper attacks, che hanno terrorizzato gli Stati uniti d’America nell’ottobre del 2002.

Call me God ha inizio al momento dell’esecuzione del detenuto, per ripercorrere poi, in un grottesco count down, l’intera serie dei dieci omicidi avvenuti fra Washington, Maryland e Virginia. La vicenda e i suoi retroscena sono ricostruiti a ritroso, per frammenti. Quattro giovani attori dell’ensemble del Residenztheater di Monaco di Baviera, interpretano brillantemente tutti i personaggi: le vittime e i loro parenti, i carnefici, i detective, i testimoni, le spie dei servizi segreti, i giornalisti. Sostenuti da una scenografia scarna e trasformistica, raccontano della vicenda i côté paradossali, disegnando un Nordamerica ridicolo e fumettistico, in cui la morte, il dolore, la nevrosi, non riescono a scendere in profondità, resi disumani da un’istanza sociale consumistica e sensazionalistica.

Il dramma è nel non-dramma: la violenza degli atti omicidi è poca cosa, rispetto alla brutalità ben più cruda di una società che schiaccia l’individuo e lo pilota come se fosse una ridicola e inutile marionetta. La superficialità della vita quotidiana si riflette nella profondità di un nulla, che costringe l’essere umano a galleggiare senza speranza in una rete di rapporti fatui, inadatti a sostenerlo di fronte alla morte e alla vita stessa.

John Allen Muhammad, il serial killer, è un nero d’America. Si è convertito all’Islam. E’ un reduce della Guerra del Golfo, dove ha imparato a usare le armi e, probabilmente, a vedere l’omicidio come un gioco d’azzardo, in cui la vittima è altro da te, lontana, e allo stesso tempo è un riflesso di ciò che in te vorresti sopprimere per sempre. L’assassino è l’unico, forse, nell’intero quadro umano scandagliato, ad aver maturato un’idea originale della morte, tragica e filosofica. E’ in base a questa visione delirante e disperata, che istruisce al delitto il suo compagno di avventura, un adolescente, anch’egli nero, che guarda a lui come a un padre.

Il testo è scritto a quattro mani. L’italiano Gian Maria Cervo, i tedeschi Marius von Mayenburg e Albert Ostermaier e l’argentino Rafael Spregelburd si sono cimentati con la materia dei Beltway sniper attacks con quattro elaborazioni drammaturgiche indipendenti, che sono poi confluite, ad opera di Mayenburg, in un montaggio a mosaico integrato.

Le diverse cifre stilistiche della drammaturgia si fondono coerentemente, pur mantenendo le specificità di ogni autore, in un affresco contemporaneo, burlesco e acre, che raffigura senza veli d’ipocrisia i risvolti palesemente incivili della società occidentale cosiddetta sviluppata. La convergenza creativa di quattro autori e di quattro attori dà vita sul palco a una molteplicità di punti di vista, che riflette a meraviglia la complessità esegetica della civiltà contemporanea di stampo statunitense, impossibile da decifrare secondo una logica e una morale unilaterali.

 

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