concezione, direzione e coreografia Frédérick Gravel danzatori Frédérick Gravel, Brianna Lombardo, David-Albert Toth, Peter Trosztmer, Lucie Vigneault, Jamie Wright compositori Stéphane Boucher, Philippe Brault luci Alexandre Pilon-Guay suono Jimmy Boury 18-19 ottobre 2014, h 21:00 Teatro Eliseo Romaeuropa Festival #REF14
Per la prima volta in Italia, il canadese Frédérick Gravel esordisce davanti al pubblico di Roma con Usually beauty fails nella cornice del 29° Romaeuropa Festival, al Teatro Eliseo.
I danzatori e i musicisti della compagnia accolgono il pubblico che prende posto in platea a sipario aperto, con la naturalezza tipica delle happenings. Sulla parete di fondo trentasei fari controluce e tre postazioni da dj set danno immediatamente l’atmosfera del concerto, e non del teatro nel suo senso convenzionale.
Infatti Usually beauty fails è un concerto coreografico, ovvero una creazione ibrida, e non poteva essere altrimenti data la formazione di Gravel come chitarrista, regista, cantante, danzatore, coreografo; una live performance di diversi linguaggi e generi artistici, dunque, durante la quale parla al pubblico con l’aiuto di un’interprete, e, per sedurlo, presenta il suo lavoro e il suo linguaggio dicendo che la vulnerabilità avvicina la gente.
Il canadese gioca con richiami a un concerto rock, ad una pubblicità di intimo graffiante, alla cultura pop e – immancabile – alla sfera del sesso svestendolo del suo contesto. La sua “ode alla fertilità” è un pezzo estremamente intelligente, simpatico, leggero e a tratti dissacrante.
Sulla musica da corte del 1400, dopo un primo attimo di imbarazzo ed esitazione, il danzatore si mette a ballare hip hop: questa maniera di decontestualizzare provoca risa, anche se nella danza contemporanea il confine tra ironia pungente ed espressione pop è molto labile.
La notevole intensità fisica tra salti, cadute sulle ginocchia e twist aerei, che esprimono i tre danzatori e le tre danzatrici, è la stessa del suo collega Dave St Pierre, col quale ha collaborato in passato. Apprezzabile che Gravel si metta in scena in prima persona, sia per suonare, sia per danzare con i suoi ballerini.
Globalmente il lavoro di Gravel è comunicativo e completo, peccato per la predominanza nell’utilizzo della musica – dalla musica di corte a quella elettrica, pop, rock, chitarra unplugged e voce – che mette un po’ in ombra la danza. Più linguaggi insieme hanno una potenza corale d’impatto forte, anche se il rischio è di non percepire l’intenzione originale e il messaggio che sta alla base.