Romaeuropa – Puglia in scena: Fibre Parallele, Duramadre

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All’interno della sezione Puglia in scena del festival Romaeuropa2013, si inserisce l’ultimo spettacolo della compagnia Fibre Parallele: Duramadre. Lo spettacolo si presenta come un’analisi pessimista della condizione umana e dell’individuo, «rotellina» parte di un macchinario gestito da una dispotica «madre matrona», lasciando al pubblico, tuttavia, lo spiraglio della speranza della libertà.

Duramadre

di: Riccardo Spagnulo
con: Mino Decataldo, Licia Lanera, Marialuisa Longo, Simone Scibilia, Riccardo Spagnulo
voce: Rossana Marangelli
costume: Luigi Spezzacatene – Artelier Casa d’Arte Bari
luci: Giuseppe Dentamaro
realizzazione scene: Mimmo e Michele Miolli, Modesta Pece
assistenti alla regia: Elio Colasanto, Rossana Marangelli
regia e scene: Licia Lanera
produzione: Fibre Parallele

21 e 22 marzo 2013 –  Romaeuropa 2013, Teatro Palladium, Roma

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La visione del palcoscenico è preceduta da una sensazione uditiva: si diffonde nella sala del Teatro Palladium il suono di un vento forte, e freddo probabilmente, contrario ed avverso alla natura umana. La scena, che conferma l’impressione sonora, è di un candore lunare e l’illuminazione bianca la raffredda ulteriormente; sullo sfondo un arbusto secco suggerisce la difficoltà della vita in un ambiente simile. E’ il paesaggio de La ginestra di Giacomo Leopardi, di una madre Terra e di una Natura ostile all’uomo ed il punto di partenza da cui Riccardo Spagnulo e Licia Lanera intendono cominciare nella loro analisi dei limiti e degli ostacoli frapposti, fin dalla nascita, tra l’individuo e la sua libertà.

In questa culla, nascono alla vita frantumando tre involucri di plastica, i rappresentanti del genere umano, impersonati da Mino Decataldo, Simone Scibilia e Riccardo Spagnulo. La spensieratezza del gioco dei tre bambini è presto interrotta dall’entrata in scena della «madre matrona» che con un fischietto al collo si insinua nel loro gioco, arbitrando in modo militaresco i bambini, fino a trasformarli in bestie circensi, addomesticate anche alla gioia. Questa matrigna è la padrona che intimorisce i suoi figli-sudditi con un decalogo di comandamenti da rispettare, la domatrice con frusta e fischietto, è la sarta che «cuciva le pieghe sulla libera pelle di chi respira», è colei che «dà forma all’informe» e che, sopraelevata, osserva il macchinario e gestisce gli incastri delle esistenze altrui.

«C’era una madre, la grande madre. Una grande madre con il ventre stanco e duro. Una madre che covava tre uova. Una madre che aspettava tre figli. Una madre che era rimasta sola. Una madre che era arbitro, sarta e carceriera. Una madre potente e inferma insieme. Una madre di parto e di volere matrigna. Una madre di meraviglia e di terrore. Una madre sfruttata. Una madre erosa nel petto. Una madre stravolta e massacrata. Una madre splendida e segreta. Una madre lunare e tellurica. Una madre scrigno. Una madre notturna. Una madre antenata.»

L’individuo è rappresentato indifeso nella sua nudità e in un candore statuario dove tutto sembra immobile e dove tutto sembra dover restare immobile, nel misto di timore e riverenza che si ha nei confronti del Padrone. Citando le parole che, scegliendo dal vangelo di Giovanni, Leopardi premette al suo poema: «E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce», Duramadre è il racconto del distacco da questa volontà malata: è rappresentato un cammino individuale che parte dalla comoda vita nella culla materna, arriva alla presa di coscienza dell’uomo e, finalmente, agli sforzi da attuare nella ricerca della libertà dal giogo di un’entità superiore, comunque questa si manifesti.

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Redazione

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