Teatro Sala Uno, Romaregia Fabio Omodei con Jordi Montenegro, Maria Teresa Taratufolo, Beatrice Pellegrino, Michele Nardi, Nicolò Matricardi, Filippo Mantoni, Giulia Balbi, Alessio Binetti, Emma Aquino, Donatello Tagliente costumi Monica Raponi 22 giugno 2016,
Il Teatro Sala Uno di San Giovanni ospita l’XI° edizione del RomaTeatroFestival, organizzato dall’Accademia romana “Sofia Amendolea”, che propone spettacoli nazionali e internazionali di giovani interpreti e spettacoli proposti al pubblico in lingua originale.
The garden of dreamt circles – per la regia di Fabio Omodei – è un limbo popolato da corpi-pensiero, trasfigurati e recanti la parvenza di una maschera da clown sul volto, molto più simile ad una macchia di felicità e gioia che ad un reale trucco di festa. La luce delinea i tratti di queste dieci presenze, animate da un impellente desiderio a farsi notare ed ascoltare: sembrano bambini persi tra la folla, che i genitori distrattamente hanno dimenticato in un negozio o al parco.
Ci vuole poco per rendersi conto di essere in un’ambiente inesistente e impalpabile, una sorta di iperuranio dei desideri dove questi corpi sono proiettati poiché sono stati semplicemente immaginati: imprigionati in questo luogo, bambini creati nella mente di una coppia innamorata aspettano di essere organicamente concepiti per poter nascere, e nell’angosciante attesa cercano di attirare l’attenzione dei loro potenziali genitori, esortandoli all’atto d’amore di avere un figlio. Tutti dispongono di un cerchio, una sorta di schermo attraverso il quale osservano la vita reale e a cui cercano di comunicare, attraverso il quale cercano di farsi vedere.
I dieci giovani attori sono diretti in modo impeccabile e attraverso una regia chiara e precisa si alternano in complesse coreografie giocate su ritmo, spazialità, atmosfere di luce e ombra. L’attenzione alla corporeità e alla sua espressività in funzione di coralità e coesione è indubbiamente il leitmotiv del lavoro, che pone comunque un accento forte sull’emotività. Gli appuntamenti registici sono rispettati con attenzione in funzione di un impatto visivo forte e coinvolgente. Le luci commentano creando rarefazione e gli stessi attori, sui proprio cerchi, dispongono di luci che accendono/spengono ad arte, creando uno spazio di semibuio dal quale si evocano oscure presenze. Degna di nota è la manualità di ciascun interprete, responsabile della manipolazione dello strumento cerchio attraverso il quale si imprimono alcune immagini significative: dal già descritto schermo, all’inquietante utero nel quale si proietta l’effige di un feto-desiderio, fino alla creazione di figure ampie, costituite dalla totalità dei cerchi.
I sogni, le speranze di futuro e l’entusiasmo di queste creature mai nate sono i temi del testo, legate ai più oscuri timori quale quello di non essere più voluti, di essere diventati un desiderio trascurabile ed evitabile – timori capaci di far svanire nel nulla, di inghiottire nel buio di un luogo non fertile e freddo.
The garden of dreamt circle è un lavoro emozionante e coinvolgente, capace di suscitare alcune domande nello spettatore, come ogni essere umano, soggetto capace di crearsi molti desideri nella mente, aspettative che forse non sono realizzabili del tutto.