Come omaggio al terrore che incute la data Venerdì 17, il Cinema Aquila proietta oggi il film Room 237 di Rodney Ascher, un documentario omaggio che analizza uno dei capolavori di Stanley Kubrick: Shining. Il film è stato presentato al Festival di Cannes del 2012 e al Sundance Film Festival dello stesso anno.
Room 237, di Rodney Ascher, USA 2012, 102’
Prodotto da: Tim Kirk
Distribuito da: IFC Films, IFC Midnight
Distribuito in dvd da: Feltrinelli Real Cinema
Musiche: Jonathan Snipes, William Hutson, The Caretaker, Wendy Carlos, Rachel Elkind
Interpreti: Bill Blakemore, Geoffrey Cocks, Juli Kearns, John Fell Ryan, Jay Weidner
«All work and no play makes Jack a dull boy».
A più di trent’anni dall’uscita di Shining, Rodney Ascher, nel suo documentario, non ne ripercorre la genesi e la lavorazione, bensì ne compie un’analisi filmica – in alcune parti molto dettagliata – e uno studio sincronico/simbolico che si avvale di parallelismi con la maggior parte delle pellicole di Kubrick. L’intento di Ascher è, infatti, quello di evidenziare, attraverso una serie variegata di commentatori, suggestioni, interpretazioni e dietrologie, talvolta fascinose e, perché no, vagamente strampalate, che la pellicola ha nutrito durante questi anni. Un’operazione cinefila ben riuscita, a tratti, forse, sovrainterpretante e, tuttavia, divertente, come si può notare dallo sviluppo della famosa conspiracy theory secondo cui Stanley Kubrick avrebbe inserito in Shining una serie di indizi per indurre lo spettatore a scoprire la sua complicità nella creazione – e dunque falsificazione – delle scene dell’allunaggio del 20 Luglio 1969.
Andando oltre quest’interpretazione se ne trova un’altra secondo cui Shining sarebbe un film sullo sterminio: da una parte il genocidio degli indiani d’America, dall’altra l’olocausto. Quest’ipotesi sarebbe avallata dalla numerosa presenza di riferimenti alla cultura indiana e dall’insistenza sul numero 42, riferibile al 1942 e alla “soluzione finale della questione ebraica”.
Sicuramente interessanti sono la precisa mappatura dell’albergo e le analisi di alcune dissolvenze che fanno notare come alcune scene interagiscano tra loro. Notevole anche la descrizione dei tre giri che Danny compie con il suo triciclo e che, secondo l’interprete, indicano un progressivo passaggio dal realismo del piano terra – il girovagare del bambino con il suo veicolo ha l’intento di mostrare come il set sia reale – a una struttura fantastica, dapprima collegata alla precedente mondanità – il corridoio con il pavimento esagonale e la room 237 – e poi sempre più onirico-mentale – l’incontro con le gemelle assassinate. Una sorta di movimento esulante di elevazione allo stesso tempo immanente e trascendente – ci troviamo ancora nell’Overlook Hotel, ma a contatto con una realtà altra che viene a sporcarsi le mani nel mondo – che secondo il commentatore si riconnette agli stessi inconsci dei genitori: Jack & la room 237, Wendy & le gemelle.
Una cosa è certa: ci troviamo di fronte a un regista, Kubrick, maniacale, perfezionista in ogni scelta, capace di condensare nel film immagini subliminali ed errori di sceneggiatura lasciati per dar da pensare volutamente allo spettatore. Una sorta d’istanza donativa di cui Room 237 alimenta il mito affinché si possa rinnovare e garantire il godimento del rito della visione della luccicanza e della sua incredibile traccia cinematografica.
PS. Room N(umber) 237 = Moon 237(000), ovvero le miglia che separano la Terra dalla Luna… «Moon Room e questa è la camera della Luna, dove tutto accade e nulla è reale».