regia Rosy Bonfiglio aiuto regia Giuliano Braga foto Tommaso Le Pera luci Michelangelo Vitullo musica Angelo Vitaliano progetto grafico Fabrizio Brandi 3 marzo, Teatro Studio Uno, Roma
“Avevo visto una povera capinera chiusa in gabbia: era timida, triste, malaticcia ci guardava con occhio spaventato; si rifuggiava in un angolo della sua gabbia, e allorché udiva il canto allegro degli altri uccelletti che cinguettavano sul verde del prato o nell’azzurro del cielo, li seguiva con uno sguardo che avrebbe potuto dirsi pieno di lagrime”.
Rosy Bonfiglio, pronuncia la frase sopra-citata tratta dalla premessa di “Storia di una Capinera” di Giovanni Verga ed un brivido attraversa il corpo.
Capinera, in scena dal 3 al 6 marzo al Teatro Studio Uno di Roma, è una performance teatrale complessa ed articolata che non mancherà di rapire chiunque abbia il privilegio di assistere alla sua messa in scena.
Un lavoro emotivamente e tecnicamente articolato con una narrativa sferica e piena di ostacoli che la protagonista – e regista – è stata in grado di governare ed abbracciare appieno, senza mai inciampare, esitare o tentennare nell’essere Maria. Così, lo spettatore assieme alla protagonista esplode di gioia, assapora quell’entusiasmo infantile ed esuberante che a mano a mano diventa consapevolezza, costringendolo a buttare uno sguardo più approfondito verso la propria vita.
La libertà di decidere della propria esistenza – che per la maggior parte delle persone è normale e scontato – è una prospettiva irrealizzabile per Maria, un regalo troppo grande che a lei non è concesso, un privilegio che non avrà mai.
Privare un essere umano di correre, godere della bellezza, sentire l’aria fresca sulla pelle ed amare è un atto vile e crudele che solo l’uomo è in grado di concepire ed ignorare allo stesso tempo.
Capinera non solo fa sentire lo stato asfissiante in cui vive Maria, ma anche l’indifferenza e la sordità dei propri carcerieri.
Da sottolineare l’efficacia della regia trasparente e delle luci, ben strutturate nello spazio e nei vari momenti narrativi. La prima, fluida e ben strutturata, non ha mai fatto sentire la mancanza di qualcosa o al contrario una sensazione di “troppo”. Le luci hanno creato una scenografia quasi fisicamente presente, mostrando campi, vento, danze popolari, così come lugubri dormitori, dolore personale e prigioni.