Woman in Gold, Simon Curtis, UK/USA 2015, 110′ Prodotto The Weinstein Company Distribuito Eagle Pictures @ nella sale italiane dal 14 Ottobre
La memoria è il dono più prezioso che abbiamo: serve a ricordarci, insieme a piccoli gioielli cinematografici come Woman in Gold, che alcune “cose” non possono essere dimenticate.
Presentata in anteprima al 65 esimo Festival Internazionale del Cinema di Berlino, il regista Simon Curtis (Marilyn) mette in scena una pellicola dall’intensa potenza psicologica, legata al tempo, ai ricordi dolorosi e alla coscienza di se stessi.
Ci sono stati tanti modi cinematografici per parlare dell’olocausto. Curtis nel suo film opta per una modalità modo nuova e differente scegliendo l’arte, e in particolar modo l’arte di Gustav Klimt. Woman in Gold, attraverso una storia vera, utilizza l’arte come escamotage di rivalsa e giustizia di un popolo privato della propria identità, oltre che della propria “ricchezza”.
Maria Altman (la straordinaria Helen Mirren), ebrea di origini austriache, costretta a lasciare Vienna e ad abbandonare i suoi genitori durante la Seconda Guerra Mondiale, intraprende un viaggio, fisico e spirituale, per recuperare i beni illecitamente sottratti alla sua famiglia dall’esercito nazista. In particolar modo, ciò a cui è più legata è il quadro che ritrae l’amata zia Adele, ovvero il celebre dipinto Ritratto di Adele Bloch-Bauer, conosciuto appunto anche col nome di Woman in Gold, ed esposto alla galleria Belvedere di Vienna.
Maria non può affrontare questo viaggio da sola, sia per gli ostacoli di tipo legale che è costretta a fronteggiare, sia per i dolorosi ricordi nascosti in una terra che prima chiamava casa e che ora sente estranea e nemica. Randy Schoenberg (Ryan Reynolds), giovanissimo avvocato figlio di immigrati austriaci, è la spada della battaglia di Maria. Caparbio e testardo, va oltre qualsiasi giurisdizione, rischiando di perdere ogni cosa a sé cara, dal lavoro alla famiglia, pur di vedere trionfare il bisogno di un riscatto, quanto meno simbolico, da parte di un popolo umiliato e rappresentato da Maria.
Woman in Gold potrebbe sembrare una bella favola dal gusto un po’ agrodolce, ma dentro i suoi colori caldi e la vivacità/follia del personaggio di Helen Mirren, nasconde un’intensità dolorosamente profonda. Questo tipo di pellicole portano lo spettatore in una duplice fase di empatia. Oltre alla sofferenza dei protagonisti, a colpire è il dolore e il rimpianto nascosto dalle lacrime trattenute e dalla paura di perdere tutto, vita inclusa. Ciò che più avvilisce lo spettatore è tuttavia il sentirsi complice silenzioso di un massacro.
Non esiste solamente l’olocausto. Esistono massacri e storie di ingiustizie ancora più cruenti, parafrasando le stesse parole di Curtis. Tuttavia esiste anche la memoria di chi c’è, di chi c’era e di chi ha vissuto per sé e per chi non ce l’ha fatta. E i ricordi sono custoditi anche nelle piccole cose, come in un quadro appeso al muro di una famiglia, la cui felicità è stata mandata in frantumi dalla follia nazista.
Woman in Gold è un film reale, che non si perde nel solito buonismo, mettendo a dura prova i suoi stessi personaggi, spesso posti in bilico e tentati di lasciar perdere tutto. Su questa lama di rasoio Helen Mirren si mostra ancora una volta in tutta la sua magistrale eleganza e bravura. A non reggere invece totalmente il colpo è Ryan Reynolds. La sua interpretazione è sempre in bilico tra il forzato e l’apatico. Un ruolo sicuramente difficile e che non fallisce totalmente nella sua realizzazione, ma che perde di emotività a causa dell’espressività troppo monotona di Reynolds.
Nota di merito va sicuramente al cast tecnico delle musiche, ovvero i compositori Martin Phipps e il pluripremiato Hans Zimmer, le cui melodie accompagnano il pubblico dall’inizio alla fine della pellicola, tenendolo quasi per mano. Dosate perfettamente, le musiche entrano in scena al momento giusto e aiutano ancora di più a scivolare all’interno della mente del personaggio, entrando in sintonia con tutta la vicenda.
Woman in Gold ha la stessa forza e bellezza di un quadro. Esattamente come un Klimt, i suoi colori accesi e caldi stregano chi lo guarda, per poi trasmettere una sorta di malinconica sensazione osservando i volti enigmatici dei suoi soggetti capaci di farci perdere nella loro memoria.