Il 16 Settembre è stato proiettato al Cinema Aquila, alla presenza dei registi Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, il film Salvo, vincitore al 66° Festival di Cannes del premio della “Settimana della critica” e del “Prix Rèvèlation”. Un vero successo per un film che ha il merito di riportare in auge il cinema italiano all’estero.
Salvo, di F. Grassadonia e A. Piazza, Ita/Fra 2013, 104′
Sceneggiatura: F. Grassadonia e A. Piazza
Fotografia: D. Ciprì
Montaggio: D. Rayner
Casa di produzione: Acaba produzioni, Cristaldi pictures, MACT productions, Cité Films, arte France cinéma
Distribuzione: Good films
Produttori: Massimo Cristaldi e Fabrizio Mosca
Non tutti i miracoli hanno cause divine o paranormali. Ci sono miracoli figli di una grandissima attività cinematografica, come questo film, e miracoli figli di un incontro, come quello che avviene tra il protagonista della pellicola – Salvo –, killer di mafia dall’occhio glaciale e Rita, sorella non vedente del mandante dell’attentato a cui lo stesso Salvo e il suo boss latitante sono sfuggiti.
L’incontro tra i due ha in realtà tutti i connotati dello scontro. Dopo aver ucciso il fratello di Rita, Salvo è tentato di ammazzare anche la ragazza, ma il ragazzo, mosso da una pietas primigenia frutto del contatto inaspettato con il diverso – e non con l’innocenza, poiché vediamo fin da subito Rita preparare bustarelle piene di soldi da consegnare a qualche mafioso –, decide di rapirla e portarla in un fabbricato marcescente di una vecchia industria mineraria. Qui Rita comincia ad acquisire piano piano la vista, dopo che Salvo, durante la colluttazione con il fratello, l’aveva fatta cadere a terra e poi le aveva messo una mano insaguinata sul viso.
Comincia così per Rita un processo di passaggio dalla prigionia fisica e visiva alla piena liberazione, che può essere identificata in una vera e propria ridefinizione della persona di cui è “vittima” anche Salvo. Lo sviluppo della storia dei due protagonisti mostra, infatti, uno sdoppiamento del miracolo: da una parte abbiamo quello fisico di Rita, dall’altro quello prettamente psicologico di Salvo che comincia a nutrire sentimenti profondi per la ragazza. Diviene così utile far riferimento al titolo del film: Salvo, non tanto come nome proprio del protagonista, quanto come prima persona del verbo salvare, Io salvo, e della sua trasposizione passiva, Io sono salvato. Il processo di salvificazione è chiasmatico, incrociato: permette a Rita di salvarsi tramite Salvo e a Salvo di salvarsi grazie a Rita trasformando così la crudezza della mafia e la mineralità del paesaggio, attraverso un’epifania destabilizzante, in prodigio della spes non illusoria e, fondamentalmente, vitale, capace di ridonare una possibilità, un senso all’esistenza dei due.
Sul lato strettamente registico, Salvo sembra tutto fuorché un’opera prima. A. Piazza e F. Grassadonia evidenziano, infatti, una notevole autorialità attraverso scelte registiche davvero azzeccate, a partire da un uso sapiente dei primi piani e un eccezionale gioco di luci ed ombre che possiamo notare nella casa di Rita, al cui interno le riprese si fanno labirintiche e roteanti. I dialoghi decadono a favore dei suoni altri che consentono al film di farsi strada lungo il filo della narrazione attraverso rumori, respiri, pianti, rombi, colpi. Per A. Piazza: «il lavoro sul suono in esterno e in presa diretta ha cercato di mostrare una realtà aumentata anche mediante un ottimo gioco sul fuoricampo».
È da notare, inoltre, come il riferimento all’archeologia industriale apra in parte il film anche a un suo inserimento nel genere western, nonostante i riferimenti maggiori siano per la prima parte della pellicola i film d’azione e per la seconda il noir; una divisione a cui corrisponde pienamente la contrapposizione tra il chiuso delle case palermitane dell’inizio e l’apertura dell’entroterra siciliano del resto dell’opera, che ricorda, per alcuni tratti, il cinema di M. Garrone. Importante anche menzionare le prove dei due protagonisti, Saleh Bakri – interprete di un Salvo Mancuso che nei silenzi ricorda il Ryan Gosling di Drive – e Sara Serraiocco, davvero brava nei panni di una ragazza non vedente.
La Sicilia, così come la Sardegna, si dimostra un’isola cinematograficamente feconda. Basti a pensare al successo che hanno avuto le opere di C. Quatriglio ed E. Dante all’ultima mostra cinematografica di Venezia.
Che miracolo italiano sia.