SAN GIROLAMO, VAGABONDO DI DIO

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SERVO DEI POVERI – L’avventura di San Girolamo Miani

Compagnia teatrale La Bottega delle Maschere

Testo e regia di Marcello Amici

Supervisione di Padre Alberto Monnis

Con Marco Vincenzetti, Marcello Amici, Umberto Quadraroli, Giuseppe Arnone, Anna Varlese, Carlo Bari, Alcide Pasquini, Lorenzo Messeri, Alessio Francescangeli, Davide Silvestri, Raffaella Zappalà, Ingrid Mauretti, Roberta Rubbino, Ilaria Carlucci, Valeria Pistillo, Laura Tedesco e altri tredici attori

Scenografia e ricerca musicale Marcello de Lu Vrau

Direzione artistica Natalia Adriani

Disegno luci e fonica Giovanni Salvati

Aiuto regia Roberta Rubbino

Costumi Gianfranco Giannandrea

Direzione tecnica Luigi Burelli

Video/foto Enzo Maniccia; Foto articolo Luigi Catalano

Assistente alla regia Carlo Bari

4 e 5 maggio 2012, ore 20 – Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio all’Aventino, Roma

Presentato in occasione del Giubileo Somasco 1511 – 2011

Fedele all’etimologia del termine κατηχισμός, istruisco oralmente, Marcello Amici, regista dello spettacolo Servo dei poveri, sceglie la forma della rappresentazione teatrale per ripercorrere le tappe più significative della vita di S. Girolamo Miani, patrono universale degli orfani e della gioventù abbandonata.

La performance prende spunto dal ricordo del miracolo del 27 settembre 1511, giorno in cui S. Girolamo sperimenta, grazie all’intervento misericordioso della Vergine, una prodigiosa liberazione da insopportabili catene materiali e spirituali. L’elaborazione della storia è concepita non tanto per celebrare l’avvenimento in sé quanto per trasmettere al pubblico l’energia vivificante e ispiratrice di questa nobile figura.

L’atmosfera raccolta della Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio all’Aventino favorisce una sorta di ritorno al Medioevo, non solo per l’effettiva collocazione temporale dei fatti, che si svolgono a cavallo tra ‘400 e ‘500, ma per il luogo scenico primario che è proprio la chiesa. Come in un’antica funzione religiosa, la narrazione è accompagnata da una messa in scena finalizzata a comunicare il messaggio nell’immediatezza dell’azione viva. La drammatizzazione, inoltre, sembra riprodurre una sequenza di tableaux, che immobilizzano gli attori nello spazio, per tornare a rianimarsi al termine dei passaggi narrati dallo stesso regista, situato al lato del presbiterio. I movimenti degli attori sono talmente plastici che non possiamo non ipotizzare, almeno per un attimo, di essere di fronte a un bell’affresco giottesco o alle tappe viventi di una via crucis, che però non è solo dolore.

Apprezzabile la moderna mescolanza di mezzi comunicazione che, nel contrasto, valorizzano la rappresentazione. Su un vasto schermo, collocato in posizione sopraelevata rispetto al piano d’azione, vengono proiettati i luoghi più rappresentativi della biografia del santo, confinati per lo più nell’Italia settentrionale. Si tratta di chiese che simboleggiano le città attraversate dal suo carisma e attratte dal suo innovatore progetto di riforma basato sull’adesione a un Cristianesimo non addomesticato, rispondente alle Beatitudini, non vincolato al suo ruolo istituzionale.

Suggestive anche le musiche che sottolineano i passaggi più rilevanti della biografia – come l’apparizione di un’incantevole Maria o le parole della saggia madre – con solenni note, tra cui facilmente riconoscibili quelle del Requiem di Mozart.

Dai discorsi della Fraternità, che danno inizio al percorso di rilettura della vita del Santo, si riesce a ricavare un compendio delle qualità richieste a un operaio di Dio: povertà, distacco dai beni materiali, disponibilità piena alla volontà dello Spirito, serenità in ogni contrarietà. Ma la regola fondamentale è essere il più povero tra i poveri.

Dopo aver assistito a una sequenza di opere senz’altro ammirabili, rimaniamo però con la percezione di un tassello mancante, di un evento che ci coinvolga, ci trasporti, ci avvicini emotivamente a una figura che altrimenti sembrerebbe una muta statua di perfezione, una sorta di super-eroe della Fede.

La sua umanità, i combattimenti interiori, la solitudine, l’umile accettazione del suo peccato di vanità, proprio nella fase finale della sua esistenza, ci conquistano, finalmente, e fanno sì che la contemplazione del quadro diventi piena interiorizzazione del suo contenuto.

 

 

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Webmaster - Redattore Cinema

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