Shakespeare non è solo il primo dei grandi poeti drammatici dell’età moderna, è anche una delle più grandi luci del pensiero filosofico occidentale. Franco Ricordi, noto attore e regista teatrale, ma anche filosofo e saggista, cerca in questo testo di rintracciare nella poesia drammatica dell’autore inglese la presenza della dimensione ontologica, che trova la sua origine nel teatro e nel pensiero greco sviluppandosi fino alla filosofia del Novecento ponendosi guida della storia dell’Occidente.
Il teatro di Shakespeare, che per Ricordi trova il suo epicentro nella vicenda di Amleto e nella sua angosciante quanto incessante interrogazione filosofica, viene presentato nel testo come fondato, del tutto, sulla relazione fra essere e non–essere; solo tramite questa relazione è, infatti, possibile dare significato a tutti gli altri grandi personaggi della sua opera e alle loro vicende.
Insomma Shakespeare raccoglie e sedimenta fin dalla grecità il problema dell’essere. La peculiarità di questa ripresa sta nel fatto che l’autore da una parte converte la filosofia in concrete situazioni umane, fatte di carne e di ossa, e, allo stesso tempo, propone sulla scena il problema fondamentale del pensiero, la domanda sul senso dell’essere. Come recita la famosissima battuta di Amleto, la questione è «essere o non–essere», stessa domanda, come Ricordi fa notare, di Parmenide, forse il primo vero filosofo del pensiero occidentale. Nell’interrogativo amletico si sente la possibilità che il mondo intero “non sia”, che esso possa cadere a pezzi, possa frantumarsi e disintegrarsi, accedendo così al non essere. L’ontologia shakespeariana nasce proprio al cospetto di questa possibilità, quella di un divenire del mondo che rappresenta, o rappresenterà, la sua stessa distruzione. Amleto sembra cogliere quella che molti filosofi del Novecento, a partire dallo Heidegger, hanno posto come la domanda fondamentale del pensiero e la cui risposta oscilla tra l’essere e il nulla; una domanda da cui nascono tutti gli altri interrogativi riguardanti il linguaggio, l’economia e la politica.
Per queste ragioni quella di Shakespeare è una filosofia prima e si qualifica come tale proprio perché riesce ad abbracciare un così vasto e complesso terreno. Tuttavia, in più occasioni, in maniera più o meno esplicita, Shakespeare critica la filosofia come “astratta” costruzione che non ha nulla a che fare con la realtà e con la possibilità concreta. Secondo Ricordi questa posizione deve essere letta come il tentativo da parte dell’autore inglese di evidenziare la necessità di un nuovo e incondizionato accesso al problema dell’essere, inteso anche nella sua concreta mondanità. Questo accesso sarà esplicitato solo nella filosofia del Ventesimo secolo in cui la possibilità che l’essere non sia più non è dovuta soltanto all’inganno della Natura, madre e matrigna come è dipinta nella poetica di Leopardi, ma anche in riferimento alla Mano armata dell’uomo che distrugge il mondo in cui vive. Dunque, l’ontologia e il nichilismo shakespeariani anticipano quel percorso filosofico del Novecento che passa attraverso l’esistenzialismo e arriva fino all’ermeneutica, precorrendo le domande sulle risorse esistenziali di quel mondo che si trova per la prima volta di fronte alla possibilità del proprio essere o non–essere. Per questo motivo Ricordi crede che Shakespeare si possa considerare come l’essenziale riferimento della riflessione sul nichilismo, inteso in quella specifica modalità proposta negli ultimi anni, in Italia, da Emanuele Severino. Così Ricordi vede nella drammaturgia di Shakespeare non semplicemente un’espressione dello scetticismo moderno, ma una “profezia” della forma più matura del nichilismo moderno, dove finisce per prevalere, sull’eredità cristiana, la convinzione che sia il nulla ad attendere l’intera storia dell’uomo.
SHAKESPEARE FILOSOFO DELL’ESSERE
Autore Franco Ricordi
Casa editrice Mimesis, Milano – Udine, 2011