Il cineclub Detour è stato scelto per presentare, in anteprima italiana, il 30 maggio, l’ultimo lavoro di Domiziano Cristopharo e Alessandro Redaelli: Shock- My Abstraction of Death.
Shock – My Abstraction of Death di D. Cristopharo,A.Redaelli. Ita 2013, 80′
Sceneggiatura: Emiliano Ravenna,Melis Ruggero
Musiche: Alexander Cimini
Interpreti: Lucia Batassa, Yuri Antonosante, Nancy de Lucia, Claudio Zanelli, Nicolò Pessi, Massimo Onorato,Peppe Laudisa
Dai Racconti della Cripta alle antologie di Stephen King, tanto nel cinema quanto nella letteratura, la forma di storia breve ha da sempre accompagnato il genere horror in un sodalizio proficuo. In realtà la struttura episodica di Shock-My Abstraction of Death non è solo un doveroso omaggio, ma nasconde i soliti problemi produttivi di un’Italia che sembra dimenticare come le sue basi cinematografiche si sorreggano tanto sulle larghe spalle di Fellini quanto su quelle di autori che sembra esser lasciati in disparte come Bava o Fulci.
Chromophobia, l’episodio firmato dal prolifico Domiziano Cristopharo, faceva parte di un progetto naufragato che avrebbe dovuto prendere in analisi una serie di periodi temporali ben determinati. L’episodio è ambientato nei surreali anni 70 e ci mostra il trasferimento di una coppia in una vecchia casa diroccata – il film è girato all’interno di un paesaggio Aquilano ancora fresco di tragedia – per sanare la precaria fragilità emotiva della protagonista. Inutile dire che presto le mura domestiche diventeranno le crepe di un incubo dai tratti fortemente psicologici. Nell’episodio riecheggiano le macabre risate della Casa dalla finestre che ridono e dei paesi rurali ottenebrati da omertà e segreti impronunciabili di Non si sevizia un Paperino. L’aria di sospetto e insicurezza che attornia ogni personaggio, soprattutto nell’ultima parte, è un vero e proprio tuffo nel passato di un genere ancora lontano dai facili spaventi o dall’ostentazione gore. Venato di inquietudini sottili a metà fra thriller e giallo, l’orrore tenta di suggestionare piuttosto che di aggredire lo spettatore puntando sull’orripilante. Cristopharo dimostra di avere ormai una certa dimestichezza dietro la macchina da presa, che gli permette di dare compattezza e un marcato stile, da definire quasi autoriale nonostante le poche risorse a disposizione.
Di differente caratura invece l’altro episodio del film, Between Us, firmato dal giovanissimo Alessandro Redaelli. Già montatore del precedente Red Krokodil, il regista, nonostante le prove attoriali non in grado di sostenere una trama già labile di suo, riesce con invidiabile sicurezza a creare un canovaccio godibile e non privo di alcune scelte stilistiche efficaci. Yuri e Max sono due amici molto legati, al punto che quando una rapina finita male getta Max in una stato di catatonia l’amico decide di accoglierlo in casa sua pur di stargli vicino. L’opera di Redaelli costruisce un’atmosfera basata più sulle glaciali distanze che separano affetto e follia che non sull’abusato tema del serial-killing. Non possiamo simpatizzare né con i morti, ne con i pazzi secondo Smith e così accade tra i due protagonisti, finché il vuoto dell’inconsistenza sfocia nella violenza. In questa economia i pochi innesti paranormali presenti appaiono quasi ininfluenti.
In entrambi gli episodi, comunque, il fil-rougue sembra essere l’esistenza nella casa-mondo, dove l’estraneità dell’unheimlich regna sovrana togliendone lo status quo di rifugio sicuro, trasformandola in uno specchio rotto. Quello di Cristopharo e Redaelli è un cinema che omaggia con intelligenza e sfrutta al meglio i suoi mezzi per dare consistenza alle idee. Manca ancora un passo decisivo nella rielaborazione del genere, un passo in grado di segnare veramente una rinascita del genere, ovvero qualcuno disposto a credere e investire su film che riescono con pochi pari a far convivere insieme sullo schermo intrattenimento e profondità. In un’era di incertezze, dare consistenza a queste fobie anche solo sotto forma di immagine cinematografica non è solo un ausilio catartico, ma un’affermazione di uno stato d’esistenza cagionevole che deve rinsavire. Il rischio è solo quello di farsi spaventare dal più pauroso e macabro dei fantasmi. Quello di un passato troppo ingombrante da rimettere in discussione, un tempo con cui ogni opera sembra doversi confrontare già segnata in partenza dal più classico degli epiloghi: il soccombere.