Mercoledì 11 settembre l’ottava edizione di Short Theatre, consueto festival settembrino della Capitale, ha ospitato la compagnia umbra Déjà Donné. Compagnia di teatro danza rappresentata per l’occasione dall’attore Stefano Cipiciani in un suo personalissimo e originalissimo ritratto.
P.S. Stefano Cipiciani
regia e coreografia Simone Sandroni
creazione ed interpretazione Stefano Cipiciani
scenografia e costumi Lenka Flory
tecnica e luci Cesare Lavezzoli
produzione Déjà Donné/Fontemaggiore
con il sostegno di MIBAC e Regione Umbria
Stefano Cipiciani è un attore, e come tale si presenta al pubblico della Pelanda. La sua sceneggiatura sono i momenti della sua vita, le musiche sono quelle che gli evocano ricordi, i movimenti e le scene più divertenti sono semplicemente dei racconti. Racconta la sua umanità, la sua frustrazione, le sue aspirazioni, racconta semplicemente se stesso e la sua carriera di attore. Lo fa in maniera divertente, ridicolizzando imprese anche poco nobili che l’hanno messo alla prova nei primi lavori, nei primi provini. Cipiciani sapientemente guidato dalle idee di Simone Sandroni, coreografo e fondatore della compagnia, ci offre uno spaccato tanto divertente quanto amaro della nobile arte dell’uomo di teatro.
Inserita nel progetto artistico che il coreografo ha denominato Portrait Series, la performance di Cipiciani nasce dalla volontà di confrontarsi con una personalità al di fuori della danza. La sfida di Sandroni e dello stesso attore è stata quella di danzare, di sfidare, nonostante la non preparazione tecnica, il suo corpo e la sua mente.
Ed è un grande sfidare, mettersi a nudo davanti ad un pubblico e raccontare per 30 minuti la propria intimità, accennare passi di danza suscitando l’ilarità degli astanti, travestirsi da donna o da capellone rockettaro, elencare i propri mali fisici, ma soprattutto ricordare anno dopo anno i suoi (in)successi teatrali alla ricerca della grande svolta. Non è altro che rendere visibile l’altra parte della medaglia, mettere in luce cosa c’è dietro la patinatura e la finzione teatrale. Altro non è che un modo di far emergere l’uomo dietro l’artista. Perché, a volte, l’umanità viene messa da parte a favore di quell’entità tanto invisibile quanto seducente e forte che è il Teatro.
Chiamarlo meta-teatro è sicuramente riduttivo, perché il suo svelare attimo dopo attimo imbarazzanti ricordi e obblighi scenici era in realtà svelare anche un poco delle nostre vite. Identificarsi in lui era immediato e spietato, ridere di lui era come ridere di noi, gli assensi delle teste e le frasi della platea solidarizzavano con il nostro eroe. L’empatia col personaggio era al massimo, perché il suo monologo aveva un valore universale.
La fine della performance è la fine di ogni spettacolo, borsone in spalla, sigaretta pronta, si spengano le luci e cali il sipario, un’altra magia è finita, adesso c’è la vita.