VOCI-MEDEA
Regia e coreografia Paola Scoppettuolo
Danzatori Compagnia Aleph
Set concept e ideazione costumi Paola Scoppettuolo
Allestimento sonoro Marialisa Monna – Emmebifactory
Light designer Daniele Martongelli
Costumi sartoria Bolero
Fotografia Maura Martongeli
26 giugno 2012, ore 21.30
Casa delle Culture, Roma
Rassegna 4 incontri con la danza
Voci Medea inverte il titolo del romanzo di Christa Wolf e a questo liberamente si ispira. Inversione non casuale: al centro dello spettacolo messo in scena dalla Compagnia Aleph – di cui Paola Scoppettuolo è fondatrice e direttrice artistica – sono infatti le voci, al plurale. Le voci che si affollano nella testa di Medea e quelle degli altri personaggi che le si rivolgono; le voci registrate fuori campo e quelle vive dei danzatori sul palcoscenico. Qui si rintraccia, d’altra parte, il vincolo più forte con la Medea. Voci wolfiana, riscrittura novecentesca dell’antico mito e insieme postuma Apologia di Medea, che rivisita il racconto mitico anche e soprattutto attraverso un’inedita narrazione corale a sei voci.
Paola Scoppettuolo presenta uno spettacolo che cambia mille volti, cangiante come il mezzo comunicativo che ha scelto di privilegiare e, come quello, in grado di modulare le tonalità espressive nel loro intero spettro: dalla gravità alla leggerezza, dal pathos all’ironia. Se talvolta il legame col mito resta estrinseco e sfugge – come in una scena in costume da bagno sulle note di Summertime – nel complesso è proprio la varietà stilistica a dare piacevolezza e godibilità alla performance. La cifra delle scelte musicali e coreografiche pare, infatti, l’eclettismo: dalla musica dance ai suoni distorti, dal contemporaneo più canonico a movimenti inspirati alla contact improvisation, non c’è linguaggio che i cinque danzatori non esplorino. Da un punto di vista scenico, colpisce il totale superamento di qualsiasi separazione davanti/dietro le quinte. In un continuum ininterrotto, che non prevede uscite di scena, tutto avviene sul palcoscenico, dai cambi d’abito agli spostamenti delle scenografie. Sulla scena le danzatrici si legano i capelli, si spogliano, si vestono l’un l’altra: ogni atto è spettacolarizzato, ogni aspetto tradizionalmente confinato al dietro le quinte e nascosto al pubblico si fa coreografia. La stessa interazione con gli oggetti di scena non è meccanico e funzionale spostamento, ma parte integrante dei movimenti danzati.
In un questa sovraesposizione e sovrapposizione di piani, rintracciare le fila del racconto richiede uno sguardo attento. Pure, i momenti salienti del mito della donna di Colchide sono tutti evocati, più o meno labilmente. Il matrimonio è in una danzatrice che lotta per liberarsi da una lunga coda di tulle bianco; la gelosia, la passione e il tradimento sono nelle profetiche parole fuori campo di Giasone: tu mi sarai fatale. Ma sono lì, nei gesti e nell’efficace mimica dei ballerini, soprattutto le etichette che nei secoli si sono incrostate sul personaggio di Medea: la selvaggia, la sapiente, l’infanticida, la straniera, la carnefice. Contro tutto questo, si leva sul finale la voce della donna, cui una danzatrice presta il labiale: solo Medea.