ideazione e coreografia Michela Lucenti musica originale eseguita dal vivo Julia Kent script Maurizio Camilli liriche Sara Ippolito disegno luci Pasquale Mari fonica Tiziano Scali danzato e creato da Andreapietro Anselmi, Fabio Bergaglio, Maurizio Camilli, Andrea Capaldi, Ambra Chiarello, Francesco Gabrielli, Sara Ippolito, Maurizio Lucenti, Michela Lucenti, Alessandro Pallecchi, Gianluca Pezzino, Emanuela Serra, Giulia Spattini, Chiara Taviani. e con la partecipazione degli anziani dello Spazio Incontro della COTRAD Onlus e della Casa di Riposo Bruno Buozzi produzione Balletto Civile Festival Bolzano Danza – Tanz Bozen Fondazione Teatro Comunale di Ferrara Fondazione Teatro Due con il sostegno di Centro Giovanile Dialma Ruggiero 8 Novembre 2015, Teatro Vascello, Teatri di Vetro 9, Roma
La famosa scritta che campeggia su una fabbrica occupata, ex centro culturale della Berlino degli anni Novanta, intitola How long is now, spettacolo del 2013 di Balletto Civile presentato alla rassegna Teatri di Vetro 9, dove più generazioni sono coinvolte in una danza dell’attimo, fugace nel suo poetico smarrimento, prisma tra piume che cadono dall’alto e musica di violoncello. In How Long is Now la coreografa e ideatrice Michela Lucenti effettua un esperimento di convivenza scenica e di relazione. Alcuni pensionati del quartiere, dunque interpreti non professionisti, partecipano alla messa in scena, esponendo la propria fragilità e affermando una presenza scenica qualitativamente eguale alla prestanza e virtuosità degli altri interpreti. Si narra dell’effetto-farfalla, sfasamento temporale che interessa un’ipotetica dimensione rappresentativa, dove coppie non più giovani si relazionano alle nuove generazioni, in uno spettacolo di teatro-danza, dove si avvicendano sequenze puramente coreografate, dialoghi ironici (che rispecchiano scontri generazionali), e monologhi poetici.
Sullo sfondo, un’affascinante presenza con null’altro che una pelliccia bianca indosso, mima le movenze di un volatile, cospargendo lo spazio scenico di piume bianche, in un frenetico andirivieni sulle punte. Ognuno degli interpreti possiede delle caratteristiche peculiari ed esegue una coreografia stilisticamente diversa, così abbiamo una danza contemporanea sulle note di Beetlebum dei Blur, un duetto quasi cinematografico fitto di prese e riconducente ad un lontano amore, un virtuoso passo di quello che sembrerebbe capoeira, un maneggiare maracas richiamando danze brasiliane.
In avanscena, un anziano signore (il capo famiglia ormai malato e decadente), è posto su di una poltrona malmessa, costantemente disturbato dalla figlia, da una moglie sciancata interpretata da un uomo e da un medico fascistoide. A proposito di quest’ultimo, è presente un assolo in divisa fascista interpretato dal medesimo attore, che effettua degli esercizi ginnici. Simbolo di un passato paradossalmente attuale, il richiamo a Mussolini pare sottolineare quanto nelle memorie della generazione ormai in estinzione degli anni ’40 abbia inciso quel periodo storico, mai effettivamente rimosso dall’immaginario e dalla coscienza collettiva.
Un finale in crescendo, con gli anziani pensionati che duettano (seppure bloccati su delle carrozzine che di fatto stonano con la poetica leggera e mai morbosa sino a quel punto espressa) con i danzatori. La coreografia è fitta, frenetica, sulle note di uno sfinente Bolero, riscritto e interpretato dalla musicista Julia Kent. Una poetica dell’eccesso, del molteplice e della diversità, quella di Lucenti, che riproduce una straniante orizzontalità sull’asse temporale e identitario tra individui di stagioni diverse, accomunati da una familiarità insita al trovarsi nel qui e ora di un evento scenico.
Come le note che si diffondono dal violoncello suonato dalla musicista, il lirismo della rappresentazione si dissolve nell’atmosfera, lasciando un messaggio chiaro e significativo: il corpo è storia, ed è l’ultimo avamposto della resistenza dell’essere-umano in un periodo storico dove l’“arte dell’attimo”, rischia di venire messa a tacere.