progetto, coreografia Marta Bichisao cura della visione Vincenzo Schino progetto e composizioni sonore Federico Ortica con Alessandro Bedosti, Marta Bichisao scenografia Emiliano Austeri, Vincenzo Schino video Paul Harden e Grazia Genovese tracce poetiche Florinda Fusco organizzazione Marco Betti produzione Opera e CRT Milano/Centro Ricerche Teatrali 6 Novembre 2015, Carrozzerie N.O.T., Teatri di vetro 9, Roma
Nero, completamente nero, lo spazio in cui si svolge la rappresentazione di MA# Museo del gruppo Opera, spettacolo senza spettacolo, intimista e oscuro. Muto, sul confine tra danza e installazione di arte visiva, permeato da un’aura sacrale e misteriosa, il dipinto scenico curato da Vincenzo Schino inizia con un corpo, quello di Marta Bichisao, chiuso in una black box trasparente e in semi-luce. Al suo interno la danzatrice è supina su una panca, ed esegue dei movimenti lenti, come se si muovesse in apnea. Ad un tratto si palesa una scultura che pende dall’alto, una figura astratta e filiforme, che compie, eterodiretta, dei movimenti speculari a quelli del corpo reale della donna. Lo spettatore assiste nel buio all’incontro straniante tra le due materie, l’essere umano e la cosa, come di fronte a una lacerazione, una ferita che si manifesta in un dato lirico, senza necessità di parole.
Attraverso un illusionistico effetto di luci, il corpo della danzatrice scompare dalla vista, celandosi nel buio, e salta in primo piano il non-corpo della figura astratta, residuo inorganico di un dato antropomorfo, sagoma giacomettiana che testimonia l’assenza della carne, del sangue e delle interiora.
Appena affermata la sua presenza/assenza, anche la figura scompare. Ritorna una persona in carne ed ossa a calcare la scena, nuovamente Marta Bichisao, che effettua dei passi di danza in una dialettica in verticale con le pareti sceniche – tutto si svolge sempre in semi-oscurità –, perimetrando nell’avanzare una scultura composta da un cubo di ferro con all’interno un oggetto dalle proporzioni irregolari, di filo di ferro anch’esso, parte della scenografia di Emiliano Austeri e Vincenzo Schino. Improvvisamente entra in scena il danzatore Alessandro Bedosti, mimetizzato dapprima tra gli spettatori, creando un effetto di spaesamento e una sospensione delle aspettative spettatoriali. I due danzatori danno vita a una partitura coreografica lieve e raffinata, che si interrompe nel momento esatto della sua potenziale evoluzione.
Ad un tratto il rifiuto, la negazione: la danzatrice esce di scena spalancando la porta di un’uscita di sicurezza, lasciando l’uomo fermo e immobile, e lacerando nuovamente il tessuto della rappresentazione scenica, che risulta in secondo piano di fronte alla volontà di creare un’atmosfera, uno stato d’animo.
Paesaggio dalle tinte cupe e intinto nel nero di seppia di una scatola dalle linee ortogonali che non si incontrano mai, gioco di specchi opachi e studio intorno all’ “evaporazione del corpo e dell’io attraverso la pratica artistica” – vedi l’intervista a Vincenzo Schino e Marta Bichisao –, MA# Museo è una ricerca coraggiosa e in qualche modo iconoclasta. Una celebrazione all’assenza che si manifesta in un oikos che è evanescente e fantasmatico, muto e violento allo stesso tempo, come una misteriosa poesia scritta in penombra, tra le macerie.