Gruppo: Stewart Copeland & Stanley Clarke
Line Up:
Stewart Copeland – Batteria
Stanley Clarke – Basso elettrico, contrabbasso
Brady Cohan – Chitarra elettrica
Ruslan Sirota – Tastiere
Dove: Roma incontra il mondo @laghetto di Villa Ada
Quando: martedì 17 luglio 2012
Info:
Sito ufficiale Stewart Copeland
Sito ufficiale Roma incontra il mondo
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Foto: Giorgio Dragoni
Questa non è una recensione, né un invito all’ascolto. Questa è una preghiera. Vi prego, non perdete l’occasione, in futuro, di vedere questi due musicisti suonare insieme. Anche a costo di macinare chilometri per essere presenti.
È incredibile quanto può cambiare velocemente a volte il nostro stato d’animo in seguito a un evento esterno. Entri nella location del concerto con le tue sensazioni, le tue aspettative e la speranza che non vengano disattese. Esci, due ore dopo, capendo che in fondo era tutto sbagliato e che le suddette aspettative, che sembravano quantomeno utopistiche, sono state surclassate. Allora torni a casa, camminando, le mani in tasca e lo sguardo perso nel vuoto, cercando di capire come hai fatto a sottovalutare il genio, la tecnica, la classe sublime.
È noto ai più che Stanley Clarke e Stewart Copeland siano artisti di qualità indiscussa. Clarke ha una luminosa carriera alle spalle, da eccellente bassista e contrabbassista qual è, nel mondo della fusion (con i Return To Forever del pianista Chick Corea) e del jazz più in generale. Copeland costruisce la sua fama come batterista di uno dei gruppi rock di maggior successo degli ultimi quarant’anni, i Police. Allo scioglimento di questi, porta avanti numerosi progetti e collaborazioni nei generi musicali più disparati. Entrambi virtuosi ai rispettivi strumenti. Due veri fuoriclasse del ritmo.
La coppia a stelle e strisce, ospitata dalla rassegna musicale estiva Roma incontra il mondo, il cui palco si affaccia sul laghetto di Villa Ada, dà vita a una prestazione dinamica e di grande cuore.
I due non formano una coppia inedita. Hanno già suonato insieme e prodotto due album come Animal Logic tra il 1987 e il 1991, insieme alla cantante Deborah Holland. Poi, negli anni successivi, collaborano ancora per qualche jam session, prima di prendere la decisione di partire insieme in tour. A supporto ci sono due giovani musicisti, Brady Cohan alla chitarra elettrica e Ruslan Sirota alle tastiere, quest’ultimo già membro fisso della Stanley Clarke Band, con cui ha vinto un Grammy nel 2010 (nella categoria Jazz) grazie all’album The Stanley Clarke Band (Heads Up, 2010).
I quattro entrano in scena con qualche minuto di ritardo, un rapido saluto in italiano al pubblico da parte di Copeland e subito si comincia con grande intensità. Il suono sembra magnetico è dà un’idea di completezza. I musicisti si intendono bene, non si pestano i piedi ma alternano sapientemente gli assoli. Clarke è scatenato, chiude gli occhi in una smorfia di compiacimento e passa da una parte all’altra del palco. Dà l’idea di voler condurre il gioco tra le parti. Ricerca la fusione del suono quasi a livello fisico, entrando col manico del basso tra i piatti di Copeland. Un cappellino rosso da baseball in testa al posto della chioma afro degli esordi. Per il resto sembra un ragazzino: urla verso il pubblico e verso i compagni, invita a battere le mani per tenere il tempo, si agita sulle corde, si muove e si mette in posa per i flash. Al contrabbasso poi si supera. Colpisce il suo strumento in ogni punto immaginabile, sembra che voglia dedicarsi persino alle percussioni, che restano comunque territorio di un magistrale Copeland. I due sono bravi anche nel lasciare libertà di espressione a Cohan e Sirota che, dotati entrambi di ottima tecnica, riescono a integrarsi perfettamente nel meccanismo. Questo perché Copeland e Clarke non sono semplicemente una base ritmica. Sono una piattaforma di lancio. Quando alzano il ritmo, creano un solido piedistallo che permette ai due giovani di mettere in luce le rispettive qualità.
Il sound proposto è piuttosto lontano da quello degli Animal Logic. Vi si trova invece la contaminazione della fusion, l’estro e la libertà del progressive, il tutto con l’aggiunta di qualche riff hard rock di chitarra che esalta ulteriormente il pubblico.
Il live dura meno di un’ora e mezza, ma non si può chiedere di più. Se parti con l’idea di goderti il concerto comodamente seduto, ma il tuo corpo resta in piedi come paralizzato a cinque metri dal palco e rimane lì finché non si spengono le luci, significa che non puoi chiedere di più. Se ad ogni foto che scatti provi un grande senso di colpa, perché senti di dover applaudire ma hai le mani occupate, beh, anche questo significa che non puoi chiedere di più.