STOP THE M

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STOP THE M

Con  Valentina Virando, Alessandra Guazzini, Lorenzo Bartoli, Federica Fabiani, Gaia Insenga, Francesca Porrini, Angelica Leo, Paola Giangrasso

Progetto e regia a cura di Alessandro Federico

16 giugno 2012, ore 21.00

Teatro Argot, Roma

Rassegna Argot Off

Appena entrati, sembra di trovarsi in un piccolo salotto familiare a cui prende parte anche il pubblico, girando e sorseggiando un tè caldo. Due ironici camerieri muti, vestiti in rigorosi frac, servono tè dal servizio buono, accompagnando gesti plateali ad espressioni “becchinesche”. In questo piccolo paese tutto sembra avere le fattezze di funeree apparizioni, anime in tormento, tristezza sui volti, azioni funeste e sguardi vitrei che guardano nel vuoto, un clima quasi alienante. Ciò viene testimoniato anche dai lunghi vestiti neri delle due donne che ospitano i forestieri nella loro pensione familiare.

La pièce, molto ben rappresentata, è liberamente tratta da “Il malinteso” di Camus. Il malinteso ha inizio proprio dalla fine, srotolandosi pian piano nella complicata trama. Un uomo dagli occhi chiari e dal lieve accento nordico beve una tazza di tè che non aveva chiesto, intimato solennemente da una pallida donna dai capelli rossi, che le coprono metà viso, a restituirgliela, poiché questa non era indirizzata a lui.

E’ sua figlia Marta a portargliela, una giovane donna dal volto severo, che raramente fa affiorare isteriche risatine. Non le è mai passato l’odio per suo fratello, che le aveva lasciate lì da sole per trasferirsi al mare, proprio dove lei avrebbe voluto vivere, lontana da quel posto e quella vita lontana dagli sguardi di un uomo. E’ proprio la cieca rabbia mista ad una freddezza calcolata che portava le due donne ad uccidere i loro avventori per appropriarsi dei loro risparmi. Purtroppo, il figliol prodigo ritornato in patria, che seppur si percepisce così diverso dagli altri, non viene riconosciuto.

Duetti di urla si rincorrono, riempiendo le distanze spaziali e mentali tra le due donne. Si crea così un gioco di opinioni contrastanti, che subito dopo escono dalla bocca dell’altra, invertite. Il ripetersi di dialoghi quasi meccanico, che tocca prima all’uno e immediatamente dopo all’altro personaggio, tiene lo spettatore inchiodato alla sedia, sempre attento a percepire l’ultima evoluzione di pensiero dei complessi personaggi.

Fortemente ironici e caratteristici, i due pinguini “becchini” sono sordi, muti e omertosi. Essi tendono le due dita per prendere le scarpe degli avventori e con altrettanta nonchalance spostano un’architettura di parallelepipedi bianchi in polistirolo volteggiando in una goffa morte del cigno.

I pannelli, che fanno da scenografia, pongono distanze incolmabili fra i personaggi, così come improvvisamente le buttano giù. Questo accade anche tra i due fratelli, non totalmente consapevoli di essersi ritrovati, che ridono come due bambini raccontandosi la vita… prima che sopraggiunga la morte.

In questa tragedia, rappresentata in chiave satirica, la fanno da padroni i sentimenti, espressi o trattenuti, buoni o cattivi, di rabbia violenta o tenerezza, di follia ribelle o completa remissione, di amore e di odio. Poche le vie di mezzo.

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Webmaster - Redattore Cinema

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