Venerdì 29 marzo è stato proiettato al Cinema Aquila alla presenza del regista Giovanni Columbu e di alcuni suoi collaboratori il film Su Re, capolavoro sulla passione di Gesù ambientato in Sardegna e girato con attori non professionisti, soprattutto pastori e persone provenienti da alcuni centri di salute mentale. Il film è stato in concorso al Torino Film Festival e all’International Film Festival di Rotterdam.
Su Re, di Giovanni Columbu, Ita 2012, 80′
in uscita nelle sale cinematografiche il 28 marzo
Sceneggiatura: Giovanni e Michele Columbu Montaggio: Giovanni Columbu Fotografia: Massimo Foletti, Uliano Lucas, Francisco Dalla Chiesa, Leone Orfeo Suono in presa diretta: Marco Fiumara, Enrico Medri, Andrea Sileo, Elvio Melas Produzione: Rai Cinema, Luches Distribuzione: Sacher Distribuzione Interpreti: Fiorenzo Mattu (Gesù), Pietrina Menneas (Maria), Tonino Murgia (Caifa), Paolo Pillonca (Pilato), Antonio Forma (Giuda), Luca Todde (Pietro), Giovanni Frau (Giovanni), Bruno Petretto (Giuseppe d’Arimatea), Ignazio Pani e Carlos Sannais (ladroni)Al di là dello spazio, del tempo, del linguaggio e del contemporaneo. O forse al di qua.
Ci troviamo in un paesaggio lunare ripreso da una macchina a mano ipermobile che trasuda volontariamente pathos e dolore mentre i giochi di luce e ombra offrono mutamenti repentini, quasi istrionici, dello scenario montano del Supramonte. Molte inquadrature sono sfocate. La forza dei primi piani contrasta con la poco nitida profondità di campo.
Questo è Su Re, film di Giovanni Columbu che, tratto dai Vangeli di Marco, Matteo, Luca e Giovanni li percorre – come afferma il regista – «trasversalmente» per raccontare «il Vangelo come un sogno, trasponendolo dai luoghi storici in un luogo diverso». Un’opera inaspettata che, nella sua impossibilità di comprendere i dialoghi in lingua sarda se non sottotitolata e di ritrovare una collocazione spazio-temporale che prescinda dalla capacità della macchina da presa di collocarci tra il dolore delle donne e il giudizio inappellabile dei sacerdoti, dona una sorta di esemplare eternità artistica alla vicenda di Gesù di Nazareth.
A colpire, oltre una fantastica fotografia e un audio tutto dedito a cogliere i fruscii del vento e a far esplodere, nel finale, la colonna sonora del film, è un’iconografia a metà tra il neorealismo, l’arte rinascimentale e gli autoritratti del Rembrandt. Condensato di tutto ciò è il superamento della classica immagine di Gesù condizionata nel passato, secondo Columbu, dal pregiudizio che egli dovesse essere bello. Troviamo, dunque, un totale distacco da quello che si può definire il canone vigente dell’esteriorità e del mero estetismo diffuso; un distacco al cui fondo non vi è una riproposizione scontata e banale di un’estetica del brutto, ma l’idea che il divino si propaghi, superando la scissione tra sacro e profano, tra i poveri e i puri di cuore come se fosse un’eccezione in quell’eccezione stessa che è lo sviluppo della passione di Cristo sul monte Corrasi. L’interpretazione di Fiorenzo Mattu – guarda caso prima scelto per interpretare Giuda –, coi tendini tesi sulla croce mentre chiede un po’ di acqua, è di grande impatto.
Su Re va ben oltre la logica del flashback per assumere su di sé una temporalità narrativa non lineare costruita mediante un montaggio in cui avviene un’unione centrifuga e rielaborativa delle ultime ore della vita di Gesù prima – dall’ultima cena alla cattura nell’orto dei Getsemani fino al processo – e durante la crocefissione sul Golgota. Non c’è alcun dopo nel film se non nelle lacrime di Maria di fronte al corpo nudo di suo figlio defunto. Questo è un altro dei grandi meriti di Columbu che, non soffermandosi sul lato strettamente religioso, con uno stile autoriale forte e assolutamente innovativo anche dal punto di vista formale per quanto riguarda le pellicole sulla figura di Gesù Cristo, dirige un film che si carica di un’espressività carnale e passionale, sublime e sofisticata, vicina al Vangelo secondo Matteo di P. P. Pasolini, al Totò che visse due volte di Ciprì e Maresco e al Cesare deve morire dei fratelli Taviani.
Gesù prima di tutto sulla Terra e nella sua carne, grazie all’evocazione della sua storia e non del suo lato strettamente divino. Il suo strazio è lancinante come le sue urla mentre immaginiamo, con la macchina da presa rivolta verso il torturatore, come la frusta sfoghi tutta la sua forza sulla schiena martoriata o come quel chiodo si conficchi nella mano del Nazareno.
A pustis de tanti dolore Issu torrata luchere e cun Issu su mundu.