Chiara Guarducci, poetessa, regista e drammaturga fiorentina, si cimenta in uno spettacolo apparentemente lontano dalla sua precedente produzione artistica, intonata al monologo intimo e poetico di personaggi che si rivelano al pubblico nella loro crudezza esistenziale (come la Marylin Monroe di Bye Baby Suite o la protagonista di Inverno).
Suicide project, vincitore del bando Residenze Creative 2010/2011 di Duncan 3.0, parla invece un linguaggio impersonale e asettico.
Il protagonista è Pinky, personaggio avatar, muto e insignificante, di un gioco elettronico. La sua è una storia non-storia, in quanto priva di qualsiasi evoluzione esperienziale. Pinky non è simpatico, non è antipatico, semplicemente non è. Pur non essendo, appare fin dal principio programmato al suicidio. Una voce fuori campo, artatamente entusiastica, lo descrive mentre si muove circolarmente in un percorso vuoto, di azioni sempre uguali, prive di significato: mostrare le proprie foto in posa, una identica all’altra; andare ai party; consumare; cliccare Mi piace su Facebook; guardare la televisione; dormire. La stessa voce assertiva, in un inglese bastardo e commerciale, enumera tutto ciò che a Pinky piace fare: «Pinky likes parties». Ma Pinky ha un volto impassibile e un’andatura sempre uguale, innaturale. Non è felice, non è infelice, non è. Si lancia, da bravo gioco elettronico, in assurde imprese autolesionistiche, che lo intaccano solo in superficie. Gioca apaticamente al suicidio.
Le luci non lasciano spazio alle ombre. I colori non hanno sfumature. La bidimensionalità e la solitudine del personaggio, il ritmo costante dell’azione, l’assenza di sensualità e di espressività corporea, creano nel pubblico un distacco emotivo, che diventa un grido di esasperazione profondamente lontano: grido che non sa uscire neppure di fronte al suicidio finale, reiterato e irrilevante, del protagonista.
Elisa Gestri, perfetta nel suo ruolo di Pinky, incarna l’incubo di un essere umano sempre meno carnale, sempre meno in contatto con le proprie emozioni, sempre più incapace di autodeterminazione. La voce esterna, che pilota e disegna la vita apparente del personaggio, è quella di un demiurgo impersonale e lontano, impietoso e intangibile. Si delinea così una satira amara e deridente della società in cui viviamo, dove il consumismo e l’attività vuota e compulsiva della quotidianità sembrano destinare l’umanità all’autodistruzione.
Suicide Project
Compagnia Tintin, in coproduzione con Duncan 3.0 Residenze Creative
regia e drammaturgia Chiara Guarducci
assistente alla regia Alessandro Sivieri
con Elisa Gestri
voci off Sonia Coppoli e Chiara Guarducci
elaborazione musicale Alessandro Sivieri
disegno luci e direzione tecnica Michele D’Onofrio
2 ottobre 2011 – ore 18:00, Teatro Furio Camillo, Roma