Un emozionato chiacchiericcio di due ragazze di periferia, alla vigilia del loro primo appuntamento, rappresenta l’anticamera di una spaventosa disillusione. Da quel momento in poi, sogni da fotoromanzo, passioni giovanili e progetti di vita si andranno inesorabilmente sgretolando. Rosaria Lopez e Donatella Colasanti non avrebbero mai immaginato che, nel giro di poche ore, sarebbero diventate attrici, non di teatro né di telenovele, ma di uno dei casi di cronaca più terribili degli anni ’70.
Massacrate in una villa del Circeo, saranno private del loro diritto all’esistenza: la prima non sopravviverà a tanta violenza, la seconda sarà crocifissa per sempre a quel tremendo ricordo. La cronaca di quel fatidico 29 settembre 1975 è ben nota a tutti.
Sul palcoscenico simboli essenziali: un banco di tribunale sovrastato dalla scritta La legge è uguale per tutti; un albero di poesie, quelle di una Donatella scampata all’orrore; una sedia e un leggio ai due estremi.
L’attrice Donatella Mei si muove con leggerezza tra le varie postazioni. Una leggerezza che è, innanzitutto, delicatezza. Questa abile interprete, intelligente ed energica, ferma nel suo proposito di denuncia di ogni violenza contro la donna, risparmia al pubblico i dettagli di quell’orrore, già evocato dalla semplice memoria dei fatti. Il suo teatro è essenziale, libero da inutili fronzoli e sovrastrutture, come lo è, d’altronde, la verità.
Non ha voglia di fare giochi di prestigio, Donatella, che ha lavorato scrupolosamente su questo caso, ingoiando bocconi di amarezza. Nonostante tutto, la sua singolare bravura sta proprio nella capacità di sdrammatizzare il racconto, anche attraverso momenti di inaspettata ironia, improvvisata o pensata, ma sempre rispettosa e ben collocata. Erano gli anni ’70. Gli anni di Jimi Hendrix, dei Doors…e (sospiro) anche di Orietta Berti. “Finchè la barca va, lasciala andare”. L’Italia, in pratica.
Dietro la battuta, una chiara polemica contro il sistema politico e giudiziario italiano. L’autrice presenta i retroscena della lunga battaglia che ha portato alla promozione della violenza sessuale da reato contro la moralità pubblica e il buon costume (pari a una pipì fatta dietro una macchina) a quello contro la persona. Vent’anni per liberarsi dal pesante retaggio maschilista del Codice Rocco, che trasformava il processo per violenza in un implicito atto d’accusa contro la donna provocatrice. Donatella Colasanti, e l’avvocato Tina Lagostena Bassi con lei (la prima a pronunciare la parola stupro in aula), hanno sfidato le convenzioni, lottando anche contro la loro rabbia spenta, solitudine e paura. Ascoltare stralci degli atti sul background sociale di questi criminali, i loro precedenti, la loro strafottenza e l’indifferenza dell’opinione pubblica, genera pura e necessaria indignazione.
Si instaura da subito un buon feeling tra l’autrice e il pubblico, che partecipa attivamente ai momenti corali. Rosaria è viva e lotta insieme a noi! Per ogni donna lesa, siam tutte parte offesa! Il lavoro della Mei coinvolge, trascina. Siamo di fronte a una donna e a un’artista matura.
Non mancano emozionanti momenti di lirismo in occasione della declamazione delle poesie di una Donatella interiormente agonizzante. Che cos’è che dovrei sognare? Che cos’è che dovrei sentire? Amore mio, ti amo e non sento nulla. Vivo incastonata tra l’impazienza e la rabbia.
Cogliamo il suo invito strozzato a batterci per la verità. L’autrice di questa performance vi riesce in modo singolare. Per lei e per il coraggio della Colasanti, morta di tumore al seno il 30 dicembre 2005, un rispettoso e commosso plauso.
L’IMPORTANZA DI DONATELLA
Di e con Donatella Mei
Voci Francesca La Scala, Pietro Faiella, Alimberto Torri
Inserito nell’ambito della rassegna Scena Sensibile
Domenica 11 marzo ore 19
Teatro Argot Studio – Roma