Nell’ambito del programma musicale Syncope , all’Istituto Svizzero di Roma, il gruppo Ensemble Vide e David Schuler presentano Noir: Anna D’Errico (pianoforte), Céline Hänni (voce), Dennis Schuler (diffusione sonora) e Anna Spina (viola) propongono in tre concerti un repertorio sempre diverso che mescola in modo personale, in un continuum inscindibile, musica popolare, musica classica e improvvisazione. Unico comun denominatore la proposta di una forzatura della dinamica di ascolto e esecuzione, verso la riconfigurazione del concetto di spazio e tempo, proponendo la possibilità di un tipo di ascolto che rifiuta ogni compromesso.
Artisti:
Ensemble Vide: Anna D’Errico (piano), Céline Hänni (voce), Denis Schuler (diffusione), Anna Spina (viola).
Musiche di:
Georges Aperghis, John Cage, Eva Cveta, Claude Debussy, Morton Feldman, Olivier Messiaen, Kurt Schwitters, Jürg Wittenbach.
Dove: Istituto Svizzero – Sala Elvetica
Quando: 12 aprile
Info: sito Syncope # 2 Noir
E’ un’esperienza comune, da bambini, temere il buio. Cosa può nascondersi là dove non arriva la nostra vista? Tutto può accadere quando si chiudono gli occhi: avere paura è un sentimento naturale, un retaggio ancestrale dettato dall’impulso insopprimibile alla sopravvivenza. Crescendo si impara a razionalizzare; a dettare al proprio corpo, teso e pronto a scattare, le istruzioni per riconoscere le situazioni di effettivo pericolo e quelle in cui il pericolo è solo immaginato. Le luci della strada filtrano dalle serrande, dal tessuto delle tende tirate, o, all’aperto, la luce delle stelle e della luna può farsi faro tra le ombre più oscure, ricordandoci che, anche dopo la notte più tetra, il sole riporterà prepotentemente la luce e la sicurezza della quotidianità.
Ma cosa succede quando il buio non è affatto naturale, ma anzi è ricreato dall’uomo, in un modo perfetto e impenetrabile? Nessun tipo di guida, nessuna spaccatura nel nero totale, fagocitante e onnicomprensivo era permesso nella Sala Elvetica: 150 astanti pronti all’ascolto, seduti sulla scultura bianca creata appositamente per l’evento dagli architetti Susann Vécsey e Christoph Schmidt, abbandonati l’uno all’altro, ma soprattutto a sé stessi, per cinque lunghi minuti di silenzio perfetto, di tensione.
Il battito del cuore naturalmente accelera, la temperatura corporea si alza, un sentimento di inquietudine serpeggia, liberamente, tra i pensieri, le immagini, gli spettri dei presenti. Una porta si apre, scricchiolando; dei passi, probabilmente i musicisti che entrano in sala. Poi le prime note si levano, prepotentemente, dissonanti, rotte. Non si tratta di una melodia accogliente, anzi, ma nel buio più totale, quasi spaventoso, è pur sempre una traccia da seguire, con fede cieca.
In un altro punto della sala si leva una nenia popolare francese, trasporta la mente in quei cimiteri di campagna, delicatamente appisolati sotto un cielo nuvoloso, spazzati dal vento, nella Camargue. Voltarsi per individuare il luogo di provenienza è inutile: nell’oscurità totale ogni punto di riferimento è spazzato via, i confini del corpo si fanno labili, fragili, niente affatto scontati. Il proprio sé può facilmente, dolorosamente perdersi in questo spazio completamente ridisegnato da percorsi sonori imprevedibili, in un tempo inquietantemente dilatato dall’attenzione fisiologicamente tesa nell’esperienza estrema di deprivazione sensoriale.
Ma non si tratta solo di ridefinire il significato dell’ascolto, un ruolo interattivo è assegnato all’astante: gli spazi di silenzio sono riempiti dai rumori dei presenti in sala – chi tossisce, chi respira profondamente, chi si sdraia sulla scultura, chi si siede per terra. Movimenti e ritmo biologico diventano contributi alla partitura. Nessuno è uno nella sala buia. Tutti sono uno, in una grande cassa di risonanza che intona le differenze, le mette in relazione, pericolosamente, sulla traccia fragile della composizione, nello spazio palpabile della selva oscura.
Nel buio artificiale, opprimente, si è soli insieme e senza bussola. Il rischio del panico è concreto, ragione e sentimento devono incontrarsi nella proposta azzardata di un senso. E’ una scommessa totale, un punto di svolta. Ma poi le note tacciono, le luci si riaccendono, lentamente: “E quindi uscimmo a riveder le stelle”.