Synecdoche, New York, di Charlie Kaufman, USA 2008, 128′ Produzione Charlie Kaufman, Spike Jonze Distribuzione Bim Distribuzione in uscita nelle sale cinematografiche il 19 giugno
Charlie Kaufman è uno sceneggiatore di prim’ordine e Synecdoche, New York, oltre a confermarci ciò, è sicuramente un film da andare a vedere. Ci sono tuttavia un ma e una domanda dettati dall’idea di fondo perpetrata dalla pellicola e che lasciano con più di qualche dubbio a fine della proiezione. Kaufman non arriva per caso a compiacersi un po’ troppo?
Seguendo la via intrapresa con Adaptation, lo sceneggiatore americano, per la prima volta dietro la mdp, ci mostra la crisi esistenziale e totalizzante di un regista teatrale Caden Cotard – un eccezionale Philip Seymour Hoffman – afflitto da una forte tanatofobia e alle prese, dopo la vittoria di un prestigioso premio, con il tentativo di creare l’opera che lo renda, in tutti i sensi, immortale. Nonostante la gestazione lunga – a un certo punto del film gli attori attendono di andare in scena da diciassette anni – e tortuosa, anche a causa dei molteplici malanni fisici del regista, il progetto sarà assolutamente chiaro: la pièce teatrale sarà un modo per aggirare la morte, un tentativo di fregarla eternizzandosi nell’arte.
Se la sineddoche è quella figura retorica tramite la quale si attua un processo di sostituzione di un termine con un altro a causa della loro vicinanza fisica o logica, allora Synecdoche, New york non è nient’altro che un conglomerato filmico in cui l’arte, invece che emergere e ricondurci alla dimensione del reale, si sostituisce a essa in tutto e per tutto senza alcuna possibilità di rammemorare la radicale differenza esistente tra rappresentazione e vita. Ci troviamo di fronte a una confusione che trasla tutti i vissuti di Caden all’interno di un mastodontico, per via delle grandissime proporzioni della scena teatrale, e, insieme, miniaturizzato doppione del mondo – geniale la scena in cui pensiamo di trovarci all’interno della casa della seconda moglie di Caden, Claire Keen, e invece scopriamo di essere, quando l’inquadratura si allarga, dentro la scenografia. Alla base della proposta di Caden vi è un’idea folle, ovvero la necessità di rendere eterna la vita mediante la costruzione e organizzazione di una struttura artistica simulacrale fatta di sostituti integrali e che impone una sorta di continua delega della realtà e della sua contingenza – ottima l’interpretazione di Sammy Barnathan come doppione del protagonista.
Kaufman, tuttavia, nel finale, non aveva bisogno di ricordarci l’impareggiabile forza della morte, essa in fondo è l’ultima attrice presente nella poderosa scenografia di Synecdoche, New York, colei che non può in alcun modo demandare agli altri.
«Da ogni cosa ci si può mettere al sicuro, ma per la morte abitiamo tutti una città senza mura» Epicuro, Sentenze e Frammenti.