A partire da Platone, passando per Hegel, e arrivando ai filosofi analitici, teorici dell’ontologia dell’opera d’arte, Tiziana Andina si misura con una delle domande irresolubili dell’umanità: che cos’è l’arte?
Filosofie dell’arte. Da Hegel a Danto
Autore: Tiziana Andina
Casa Editrice: Carocci
Anno I ed.: 2012
«Porsi come obiettivo la definizione di un concetto significa presupporre che esista un concetto adeguato della cosa che vogliamo definire…». Di fronte all’Arte – volutamente con la lettera maiuscola – questa frase perentoria sembra entrare in una crisi, forse irreversibile
Un ragazzo, Frescoditesta, giovane e sicuramente non filosofo, ci accompagna durante la lettura delle prime pagine dell’ultimo libro di Tiziana Andina, ricercatrice di filosofia teoretica presso l’università di Torino. Frescoditesta, dopo la morte dello zio, il quale soleva collezionare opere d’arte e accatastarle in un enorme magazzino, è nominato unico erede della stessa fortuna artistica acquisita dal parente appena deceduto. Tuttavia, per ereditare questa “ricchezza culturale” il ragazzo ha un vincolo tassativo: deve essere in grado di riconoscere le opere senza l’ausilio di esperti; tutti gli oggetti presenti nel magazzino e considerati da Frescoditesta “comuni” saranno, dopodiché, distrutti.
E’ dal problema, non di poco conto, di Frescoditesta che Andina comincia la sua solerte analisi, mirante la ricerca della definizione dell’opera d’arte; un cammino non semplice lungo cui ci conduce la filosofia dell’arte. Essa è, per Andina, una disciplina speciale che si differenzia in maniera assoluta dall’estetica: mentre la prima tratta di oggetti, la seconda ha a che fare con la percezione, quasi come fosse una sorta di gnoseologia inferiore.
Andina passa in rassegna la concezione di Hegel secondo cui l’arte manifesta sensibilmente lo Spirito, la teoria imitativa di Platone, decostruisce il rapporto tra verità e opera d’arte che tanto aveva appassionato sia Heidegger che Gadamer e individua in Aristotele la chiave di volta: dalla sua filosofia si è cercato di definire l’opera d’arte o sulla base di proprietà estetiche o attraverso un legame emozionale instauratosi tra l’opera e lo spettatore.
Una cosa per Andina è sicura: «l’arte non è tenuta in alcun modo alla verità, questo nel duplice senso secondo cui non è tenuta alla rappresentazione di cose vere, né a una rappresentazione vera, o anche conforme al vero, di cose vere. Essa ha dunque l’assoluto privilegio di poter fare ciò che vuole».
Da qui l’autrice s’immerge in un confronto fittissimo con autori analitici quali Danto, Dickie, Carroll, Kennick, Strawson, Weitz e il nostro Ferraris, al fine di mostrare come sia la teoria estetica che quella emozionale fanno acqua da tutte le parti. Per Andina le opere d’arte sono veicoli semantici, incorporano dei significati, spesso non hanno a che fare col mondo nonostante dipendano strettamente dall’intenzionalità degli esseri umani.
Seguendo il percorso dell’autrice arriviamo nelle ultime pagine a definire l’opera d’arte. Essa è: «un oggetto sociale e storico, un artefatto che incorpora una rappresentazione, sotto forma di traccia iscritta in un medium che non è trasparente». Il merito di Andina è senza dubbio quello di darci una risposta, di parte, ma pur sempre una risposta chiara e, soprattutto, analitica.