21 aprile, al refettorio del forte Fanfulla si apre il festival Teatri di Vetro con un appuntamento dedicato alla musica e a corti teatrali. Sulla scena singolari strumenti degli anni ’30 incontrano le pellicole di un viaggio in Super8.
Cabeki: Musica da cinecamera in Super8
Progetto di: Andrea Faccioli
21 aprile 2013 – Teatri di Vetro, Forte Fanfulla, Roma
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Andrea Faccioli è curvo sulla chitarra elettrica poggiata sulle ginocchia, accanto a un tavolino illuminato da lampadine fioche. Si allunga sulle corde di un ukelin e di una bell harp. Dietro di lui scorrono le immagini di un viaggio in Birmania e Thailandia, fatto da una donna sconosciuta nel 1987. La pellicola in Super8 procede con la cadenza ritmica del proiettore, e costruisce la struttura del viaggio, formata progressivamente da molteplici livelli sonori. Questa macchina musicale è Cabeki | Musica da cinecamera in Super8, performance del compositore veronese, tratta dall’album Macchina celibe. È la macchina kafkiana della sua copertina, in cui gli elementi non trovano nessuna organizzazione funzionale, tranne il godimento estetico.
La musica sembra scaturire dalle immagini proiettate, ma l’impressione è casuale. È l’apertura dei suoni, l’espansione dei generi, che permette di legare la fuga di ville nella foresta, riprese dal finestrino del treno, con reminiscenze blues, resti di templi ricoperti di fiori a suoni indie, il barcollare di un motoscafo verso il centro di un lago, tra palafitte fradice, al kraut. Alla fine di ogni passaggio la ripetizione di questi registri si sovrappone, in un crescendo condizionato dalla loop-station. L’accelerazione dei pezzi descrive volumi plastici che l’ascoltatore è felice di ritrovare nelle immagini, costretto ad adattare e rivedere le proprie impressioni a confronto con la dinamica del viaggio ignoto che gli scorre di fronte. Con l’avvicinarsi alla città la musica sembra accogliere elementi della musica sacra orientale, attraverso suoni di sitar, mentre la telecamera sfiora il profilo di grattacieli in costruzione, lungo l’orizzonte frammentato di una megalopoli che nasce.
Variazioni di paesaggi abitati dall’uomo in modi molteplici. La sua mano sembra indicata dall’ingresso nella sequenza ritmica del tocco delle percussioni. Ma è solo un momento, prima di attraversare un parco lussureggiante e curato geometricamente, mentre il suono del clavicembalo si trasforma in un carillon.
Cabeki compone sequenze di suoni sul momento, registrate e mandate in loop, su cui si stratificano variazioni e interferenze, finché il crescendo non si dissolve, raramente senza riservare ancora sorprese.
Cabeki è un polistrumentista che collabora con il teatro – è il caso del progetto Macchina celibe –, partecipa a colonne sonore cui presta i suoi pezzi – come per il documentario I Core, My Climbing Family del regista Angelo Poli -, e ovviamente lavora con altri musicisti come Stefano “Cisco” Bellotti (ex voce dei Modena City Ramblers), Å (Die Schachtel Records), Einfalt (El Gallo Rojo Records), Veronica Marchi, Francesco Magnelli e Ginevra Di Marco (CSI, PGR), Julie’s Haircut, Xabier Iriondo (Afterhours), Andrea Belfi, Tony Conrad, Rhys Chatham (Guitar Trio), Philip Corner, Damo Suzuki (Can), Lecrevisse, Il Generale Inverno ed altri.
L’interesse per gli strumenti dei primi del novecento, come lui ci racconta, nasce dall’incontro con Xabier Iriondo, tastierista degli Afterhours, e sono questi strumenti a comporre la sezione acustica degli attraversamenti di ambientazioni sonore, a cui corrisponde una sezione ritmica di chitarra percossa, distorta in molti modi con un tappeto di pedali e ingranaggi, e chiaramente dal passo del proiettore di pellicole trovate. Oltre a Una Macchina celibe (2011) ha registrato Il montaggio Delle Attrazioni (2011).