Articolo di: Giovanni Scanu
Foto di: Sara Caroselli
L’opera Family Tree, pensata ed interpretata dalla performer Chiara Bersani il giorno 27 aprile presso il Teatro Palladium di Roma, punta a suscitare agli occhi dello spettatore il suo bisogno di raccontare una storia, un pezzo di vita, tutto ciò rigorosamente al di fuori dei tradizionalismi più frequenti, a volte addirittura abusati del mondo del teatro e più in generale dell’arte.
HALLWAY
concept: Matteo Ramponi
assistente: Claudio Valla
creazione: Buscarini / Bersani / Ramponi
suono: Paolo Persia
VOLTA
Vincitore del Premio Prospettiva Danza Teatro 2011, Padova
concept, coreografia: Riccardo Buscarini
assistente: Antonio de la Fe
azione, creazione: Bersani / Buscarini / Ramponi
con: Marco D’Agostin
suono: Sebastiano Dessanay
EPILOGO
concept: Chiara Bersani
creazione: Bersani / Ramponi
suono: Mattia Bersani / Leonardo Tedeschi
produzione: Corpoceleste con Ina/Assitalia – Piacenza, Stanhome S.p.A –
sede di Parma e Piacenza, Accademia Domenichino da Piacenza, ASITOI
27 aprile 2013 – Teatri di Vetro, Palladium, Roma
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Il teatro contemporaneo, in particolar modo quello proposto da Teatri di Vetro Festival, è il luogo della ricerca di nuove prospettive, di più ampi ed inesplorati spazi d’espressione, del bisogno di una dimensione altra, entro la quale dar corpo e struttura alla propria emotività e libertà creativa. Lo spettacolo di danza Family tree rientra perfettamente in quest’ambito. Chiara Bersani, artista affetta da una forma medio/grave di Osteogenesi Imperfetta, intende ricostruire la propria autobiografia sulla base delle cicatrici accumulate sul suo corpo a seguito dei numerosi interventi chirurgici subiti. Si tratta dunque di un progetto che fa del corpo un contatto tra passato e presente: “la radice che ci connette al mondo, ai nostri antenati, alla nostra storia”. Tali presupposti dovranno essere tenuti presente per poter cogliere la linea tematica di tutta l’opera.
Il fruitore si ritrova fin da subito colpito da immagini suggestive, cariche di significato. Alcuni versi iniziali accompagnano scenari onirici e visionari, come quello dell’uomo che si lascia trasportare dai palloncini, quasi a simboleggiare l’istinto irrefrenabile all’evasione, alla fuga dai turbamenti dell’esistenza. Da menzionare inoltre la scena dell’abbraccio danzato – tra la Bersani e Marco D’Agostin –, ove possiamo ricomporre il legame tra genitori e figli, che parte dalle attenzioni e cure reciproche fino alla scoperta di quella dimensione introspettiva entro la quale si cela il bisogno d’affetto, il dramma della solitudine, il timore dell’abbandono. Tutto ciò è evidenziato da pochi gesti minimali, movenze misurate al millimetro, tali da lasciar trasparire brevi attimi di silenzi, entro i quali ritrovare il vissuto dell’artista e al contempo scorgervi il proprio. E’ bene allora constatare quanto le soluzioni espressive dell’opera non si riducano mai alla piena auto-referenzialità. Soprattutto il silenzio si dimostra essere un potente strumento comunicativo: poche battute fuori campo sono presenti all’inizio, senza dimenticare la toccante interpretazione della Bersani de “Il cielo in una stanza” a chiudersi dell’ultimo atto. Troppe parole avrebbero intaccato un quadro che risulta già con i suoi curati elementi sobrio ed equilibrato.
Family tree ha dunque tutto quello che un’opera deve avere per lasciare il segno: stordisce con le sue immagini estremamente evocative, con i suoi suoni assordanti, martellanti, con la sua regia fondata sulla cura per la precisione e per il dettaglio e soprattutto colpisce per la potenza dei piani riflessivi che è in grado di far emergere, segno evidente della ricerca di un ponte diretto tra artista e pubblico, tra mente creativa e riflessiva, che sia in grado di raccontare e ancor di più di condividere.