Articolo di: Nicola Spano
Alfabeto è uno degli spettacoli del Festival Teatri di Vetro, giunto quest’anno alla sua settima edizione. Christiane Hommelsheim e Irene Mattioli danno vita a una suggestiva performance di musica e poesia, tenutasi il 24 Aprile 2013 nell’antico Lotto 13 di Garbatella.
Testo di riferimento: “Alfabeto” di Inger Christensen
Adattamento: Irene Mattioli
Performance: Christiane Hommelsheim
Voce registrata: Daniele Flor
Traduzione dal danese: Inge Lise Rasmussen Pin e Daniela Curti
Dove: Lotto 13 Garbatella, Piazza Bartolomeo Romano 7, Roma
Quando: 24 Aprile 2013
Info:
Sito di Christiane Hommelsheim
Siamo abituati a vivere Roma come una metropoli caotica e male organizzata, come un andirivieni di turisti che passeggiano distrattamente intralciando le nostre traiettorie, come una città che non dà mai tregua, i cui trasporti infernali ci traghettano da un lato all’altro del Tevere senza darci possibilità alcuna di fermarsi un attimo, di frenare la nostra corsa e guardarci intorno.
A Garbatella, un mercoledì sera, durante la programmazione di Teatri di Vetro Festival, è stata invece una di quelle rare occasioni in cui la città si è messa in pausa dandoci l’insolita possibilità di essere partecipi di un’atmosfera che spesso si dimentica Roma possieda. Seduti nel cortile interno di vecchi edifici popolari, suggestionati da un insolito silenzio, sereno e al tempo stesso reso vivace dalle interruzioni del chiacchiericcio dei passanti che si affacciavano incuriositi, aiutati dal clima mite dell’estate che dopo tanti falsi preavvisi finalmente si palesava, attendevamo l’arrivo di Christiane Hommelsheim.
Lo spettacolo Alfabeto era presentato come una recitazione dell’opera omonima del poeta danese Inger Christensen, tradotta in italiano da Irene Mattioli e reinterpretata con l’ausilio della voce registrata di Daniele Flor, mediante proiezioni dei versi recitati e riproduzioni di effetti sonori molto particolari. Attraverso sia l’uso di un barattolo su cui vengono lasciati cadere dei fiammiferi e delle piccole pietre sia di una cassa musicale in latta il cui suono è prodotto girando una manovella, l’attrice accompagna la poesia con rumori che rievocano un’atmosfera sospesa tra il naturale e l’artigianale, tale da trasportare in una magica bottega di altri tempi.
Lo spettacolo si costruisce sull’infittirsi di un inventario di cose di ogni sorta, dalle più comuni e concrete ai concetti più astratti, dal rammentarci l’esistenza delle albicocche a quella dei ricordi, degli errori, addirittura della morte. L’elenco degli oggetti, pronunciati in ordine alfabetico, produce l’effetto straniante di una raccolta casuale, priva di legami interni, le cui associazioni tra le frasi risultano inizialmente difficili da cogliere. Ma con l’evolversi della narrazione lo spettatore viene pian piano trasportato dall’ambito ristretto e familiare del quotidiano verso un orizzonte che si allarga progressivamente accogliendo al suo interno sempre più cose e concetti. La sensazione finale, scaturita dall’insieme dei versi cantati, dalla gestualità dell’artista e scandita dalla pronuncia straniera della stessa che contribuisce ad immergere i presenti nel clima assorto e concentrato, è quella di un’accettazione graduale e armonica – grazie all’andamento proporzionale della sequenza di Fibonacci – di tutto ciò che esiste, a partire da ciò che ogni giorno abbiamo tra le mani ma che, proprio per questo, sfugge ad uno sguardo più attento e non ci richiama all’attenzione, fino ad una prospettiva onnicomprensiva dell’esistenza stessa.
I due punti critici – la traduzione dei versi, proiettata sulla facciata di un edificio del Lotto 13, non sempre ben comprensibile e l’ubicazione della performance all’aperto, esposta agli schiamazzi dei bambini, alle sirene dell’ambulanza, agli squilli dei cellulari – non hanno però leso la rappresentazione ma, al contrario, ne hanno provato l’efficacia partecipativa. I rumori estranei sono stati, infatti, integrati armonicamente con il resto della performance, testimoniando in modo ancor più forte quella serena accettazione di tutto ciò che esiste, intenzione essenziale dello spettacolo stesso.