corografia Manfredi Perego
con Chiara Montalbani, Gioia Maria Morisco.
musicheoriginali Paolo Codognola
disegno luci Antonio Rinaldi
produzione TIR.danza-Mp.Ideograms-Armunia
7 ottobre 2016, Centrale Preneste Teatri di Vetro, Roma
E’ stato scelto l’ampio spazio del Centrale Preneste per la prima nazionale di Geografie dell’istante, uno dei tanti spettacoli che, con innovazione e dinamicità, hanno impreziosito la decima edizione del festival Teatri di Vetro, attraverso la ricerca di nuovi linguaggi teatrali, atti a veicolare informazioni ed immagini ad un livello molto più emotivo che intellettuale.
Geografie dell’istante ne è un esempio sublime.
La “corografia” è di Manfredi Perego, esperto di teatro-danza e danza contemporanea, tecniche dalle quali si allontana per addentrarsi in un lavoro nuovo, di scoperta precisa e puntuale, o per meglio dire “geografica”, che richiede il lavoro di un vero e proprio corografo. Il passaggio coreografo-corografo ovviamente è sottile, ma essenziale ai fini di una performance volta all’analisi della relazione emotiva tra corpo e luogo.
«Se il corpo è scrittura del nostro essere nel mondo, registra reazioni impreviste, forti, sottili, intime, non necessariamente sincroniche. Si aprono gli occhi, si respira, si è attraversati da impulsi» scrive Perego nelle note di regia; in altre parole “si è vivi”. Tutto ruota attorno alla capacità propria del corpo di essere cassa di risonanza dell’anima. Un gesto, un’immagine, una musica. Il corpo raccoglie e rimanda di conseguenza.
Dunque è possibile tracciare una mappa fisico-emotiva all’interno di ogni essere umano.
In Geografie dell’istante ne possiamo analizzare due: quelle di Chiara Montalbani e Gioia Maria Morisco. Nei loro corpi di donne, di attrici, di danzatrici risiede la drammaturgia dello spettacolo, la scenografia e persino la musica. Gli stimoli esterni risuonano internamente, generando energie e percezioni che scuotono i corpi, tendono i muscoli e svelano l’animo. Così non servono parole. Il testo è chiaro e fruibile all’interno di quei due corpi che segnano i confini di uno spazio fortemente vuoto. Solo per un istante appaiono tre fasce luminose di forma rettangolare che squarciano diagonalmente il pavimento e che, svanita l’eco che hanno prodotto all’interno della mappa fisico-emotiva, svaniscono anch’esse, ripristinando lo spazio iniziale, oramai inevitabilmente mutato, seppure uguale a se stesso.
Allo stesso modo il pubblico abbandona quel mondo fatto di reazioni al naturale, per reintrodursi nella caotica società digitale, consapevole che, adesso, la sua “geografia” non è più quella iniziale.