cura della visione, videocompositing e regia Vincenzo Schino
opera pittorica Pierluca Cetera
azione vocale Catia Gatelli
testo Florinda Fusco
sound design Federico Ortica
direzione e progettazione tecnica Emiliano Austeri
supervisione video, compositing Grazia Genovese e Paul Harden / Ackagi
automazione e sincronizzazione Andrea Belloni/ Hacklab
progettazione meccanica Benigno Riso/ Hacklab
aiuto regia, organizzazione e cura Marta Bichisao
amministrazione Marco Betti
produzione Fontemaggiore Teatro
24 Settembre 2016, Fondazione Volume, Roma
All’interno di Teatri di Vetro 10 la Fondazione Volume, accoglie Opera – FILM, macchina della vista e dell’udito.
Il pubblico prende posto immerso in un silenzio reverenziale, quasi liturgico. A nessuno degli spettatori presenti viene l’istinto di parlare, di alzarsi o di domandarsi come mai è da un pò che si è seduti in silenzio senza che apparentemente nulla accada.
Una spettatrice seduta in sala attira l’attenzione dei presenti iniziando una narrazione – da sottolineare la scarsissima comprensibilità del testo e del suo significato, il tutto non supportato dalla presenza di pezzi in lingua slava. Durante questa fase d’ introduzione la vista della platea è focalizzata sul rullo che occupa l’intero spazio scenico, una tela continua di 30 metri sulla quale scorrono dodici scene dipinte ad olio realizzate da Pierluca Cetera che narrano l’Apocalisse.
Le opere pittoriche sono tecnicamente ben realizzate. Lo scopo del lavoro raggiunto anche con l’aiuto della composizione musicale di sottofondo molto suggestiva ed adatta al tipo di finestra che l’artista vuole aprire sull’argomento.
Un excursus delle varie sensazioni dell’animo umano, nei confronti di un’ipotesi tanto comune quanto terrificante: quella della fine del mondo.
L’istallazione ha mostrato allo spettatore – attraverso degli interessanti giochi di luce – la doppia anima delle opere che acquisiscono significati, differenti o opposti, a seconda di come viene direzionata l’illuminazione. E’ necessario specificare che si tratta di un’istallazione.
Non si può parlare di spettacolo teatrale poichè il lavoro non presenta una regia ben curata che leghi i vari elementi fra loro, compreso l’intervento dell’unica attrice presente in sala. La composizione musicale che accompagna la “macchina della vista” è degna di nota per il tipo di atmosfera che contribuisce a creare, per la qualità tecnica dell’arrangiamento e per la densità artistico/simbolica del lavoro.
Una partitura pittorica carica di simboli contemporanei che non hanno mancato di farsi riconoscere anche attraverso i dismorfismi creati dall’artista. La drammaturgia astrusa e completamente slegata dal contesto in cui è stata inserita ha reso l’introduzione lunga, noiosa e distraente. L’impegno dell’attrice è stato reso vano dal testo.