Con la collaborazione di Ludovica Marinucci.
Il 4 e 5 ottobre presso il Teatro Argentina di Roma si è ricreata l’atmosfera del teatro bunraku con Doppio suicidio d’amore a Sonezaki diretto da Sigimoto Hiroshi.
Doppio suicidio d’amore a Sonezaki
titolo originale Sonezaki shinju tsuketari Kannon meguri di Chikamatsu Monzaemon
produzione e direzione artistica Sugimoto Hiroshi
con Takemoto Tsukomadayu, Tsurusawa Seiji eKiritake Kanjuro
composizione/direzione musiche Tsurusawa Seiji
coreografia Yamamura Waka
video Sugimoto Hiroshi e Tabaimo
foto di Hiroshi Sugimoto, courtesy of Odawara Art Foundation
The Japan Foundation, in collaborazione con Teatro di Roma, Ambasciata del Giappone in Italia, Odawara Art Foundation
4 e 5 ottobre 2013
Teatro Argentina, Roma
Il teatro bunraku, in uno dei templi del teatro italiano, nel nuovo allestimento di Sugimoto Hiroshi. L’apertura è affidata a flauto e corde acustiche che vengono spente da un mantra riverberato. Profumo di oli orientali pervade la platea. Un cantore e due musici su un piccolo palco laterale introducono il racconto ambientato in estate. “Le colpe verranno redente”. Siamo nel regno di Naniwa in cui la fanciulla Fior di Giaggiolo fa il suo voto.
È una elegantissima bambola-burattino, manovrata da ben tre animatori vestiti di nero. Il video in bianco e nero proiettato alle loro spalle restituisce immagini evocative della storia raccontata, come i due muri con un fiume che scorre a significare il percorso di un viaggio: una serie di templi sono le tappe del suo cammino di danza, animato in scena.
Nelle cuffie la traduzione italiana è inespressiva e troppo velocemente rincorre se stessa, disturbando l’ascolto della musica degli strumenti e della voce.
Sotto lo scheletro in legno di un santuario giunge l’amante insieme ad un portatore di merci. Una storia d’amore osteggiata da questioni economiche. Una presunta truffa e un furto. Tra tradimenti e menzogne di amici che rinnegano le promesse, violenze, onore maschile calpestato, lamenti, questioni di principio e invocazioni di perdono si chiude il primo atto. Una scena concitata che paradossalmente esalta le movenze aggraziate dei danzatori-attori.
“L’amante ha le maniche bagnate di salsa di soia secca”. Una sola voce per più personaggi-pupazzi che vengono mossi, danzati con rigore da tre ulteriori animatori. In una tradizione che chiama la recitazione “imitazione dell’attore” anche la storia è una serie di parole descrittive della realtà.
Il poema, scritto nel settecento, rivoluzionò la traduzione drammatica introducendo la tematica “erotica” che in questo caso denunciava i suicidi d’amore provocati dai vincoli rigidi di una società feudale. Bandito nei teatri per oltre duecento anni, l’amore (e la morte) torna nelle sale con la stessa forza di uno Shakespeare o di un Dante (particolarmente indovinata l’associazione con i versi di Paolo e Francesca del V canto dell’Inferno nel programma di sala).
Il secondo tempo ci vede privati dell’ausilio della traduzione simultanea. Il regista, che stesso ha preso questa decisione per evitare distrazioni ai musicisti che pregiudicassero la loro esecuzione, le ha evitate anche a noi. Se i particolari della storia restano ignoti allo spettatore ignorante del giapponese, si riesce meglio a percepire particolari prima secondari. Apprezziamo meglio l’appassionato narratore, i suoi falsetti, la sua interna musicalità nell’asciugarsi il sudore sulla fronte per il tanto cantare, la precisione dei musicanti, il “volare” morbido e poetico delle azioni, l’espressività sgargiante dei variopinti kimoni, il preciso ordine gerarchico dei portatori dei pupazzi-attori.
Se forse a causa della mancata traduzione alcuni se ne vanno, altri si siedono più comodi. Il teatro è un tempio in cui è la tua voce interiore a raccontare lo spettacolo.
Tanto si sa come va a finire. Fine violenta degli amanti umiliati e offesi. Suicidio che, oggi come ieri, é creduto lavacro di onta e restauratore di verginità. Una tragedia per sua stessa natura irrisolvibile. Alla fine, marionette, bambole o pupazzi costituiscono un vero e proprio film d’animazione. Anima e azione. La storia, che é composta di preziosi dettagli, dall’abbigliamento alla cerimonia del té, da fuochi fatui che galleggiano attorno ai corpi meccanici, da ripetuti abbracci, dall’uso del mantello, di coltelli e di ventagli é poesia in azione. Si contorcono i due amanti, e con loro i sei portatori, al ritmo dei vocalizzi del narratore. Una danza del suicidio con i drappi é il loro canto d’amore finale.