Teatro Stabile di Genova: La scuola delle mogli

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Dal 19 febbraio al 3 marzo, al Teatro Argentina, è in scena La Scuola Delle Mogli. La regia di Marco Sciaccaluga propone la celebre commedia di Molière sottoponendola ad un salto temporale, dal Seicento ai primi anni del Novecento, che la avvicina vertiginosamente al presente, stimolando l’eterna riflessione sull’amore ideale.

La scuola delle mogli

di: Molière

traduzione: Giovanni Raboni

regia: Marco Sciaccaluga

con: Eros Pagni, Alice Arcuri, Roberto Alinghieri, Marco Avogadro, Massimo Cagnina, Pier Luigi Pasino
Roberto Serpi, Mariangeles Torres, Federico Vanni

scene: Jean-Marc Stehlé e Catherine Rankl

costumi: Catherine Rankl

produzione: Teatro Stabile di Genova

Dal 19 febbraio al 3 marzo 2013 – Teatro Argentina, Roma.

 

Fin dalla prima scena, Marco Sciaccaluga evidenzia la sua interpretazione della commedia di Molière: lo scambio di battute iniziale si svolge nello scompartimento di un treno tra un Crisaldo con panciotto e vestito – Federico Vanni – e un Arnolfo – Eros Pagni che sfoglia Le Figaro. Il dialogo tra i due è una manifestazione della chiacchiera cittadina, occupazione prediletta della bourgeoisie della seconda metà del Seicento, attualizzata nell’immaginario del regista nei primi anni del secolo scorso. «Ci è sembrato – spiega Sciaccaluga – di poter leggere nella commedia l’esplicito rinvio a una realtà piccolo borghese e questo ci ha indotto a pensare uno spazio che appartenesse soprattutto al tempo in cui la borghesia ha assunto uno specifico ruolo sociale».

Il treno arriva alla stazione di Montparnasse e, grazie alle spettacolari scenografie di Jean-Marc Stehlé e Catherine Rankl mosse da puntuali e silenziosi servi di scena, si apre – nel vero senso della parola! – al pubblico uno scorcio della Parigi d’inizio secolo. Comincia così ad avvolgersi l’intreccio, tra le battute argute tratte dalla traduzione di Giovanni Raboni, che mantiene la vivacità dell’alternanza tra prosa e rima nei dialoghi.

La storia, tratta dal «ciclo delle corna», è mossa da quell’ironia tragica tanto cara a Molière nelle sue lucide analisi della realtà sociale. La «vittima» questa volta è Arnolfo, gentiluomo in cui è stato riconosciuto l’alter ego dell’autore stesso, interpretato da Eros Pagni: Arnolfo è un uomo spaventato dal tradimento della propria consorte più che da ogni altra calamità. Per questo motivo, progetta di educare una bambina in modo da farla diventare la moglie perfetta: «Donna che sa scrivere ne sa più del necessario. […] Insomma, (voglio) che sia di un’ignoranza totale; le deve bastare saper pregare Iddio, volermi bene, cucire e filare.»

Un autoritarismo affettivo esercitato sulla piccola Agnese, sulla scena Alice Arcuri, nella volontà di avvicinarsi il più possibile ad un rapporto ideale, lontano dalla corruzione dell’adulterio e dedito alla sottomissione della donna. Perfetto il piano del tiranno Arnolfo, se non fosse per il postulato iniziale, ovvero l’obiettivo di «insegnare l’amore» quale fosse materia scolastica – celebre la scena delle massime sull’amore devoto donate da studiare ad Agnese -. E Agnese, se da una parte è bombardata dai gravi significati dell’amore, dall’altra è stimolata dai suoi significanti: in compagnia di Orazio, senza neppure sapere cosa accada, vuol continuare a provare quel piacere così tenero – e cos’è l’amore ne non questa piacevolezza di cui non si identifica l’origine? -. Nell’ingenuità che la caratterizza esclama: «E’ una cosa,  se sapeste, così piacevole e dolce! Trovo delizioso quel che si prova in quei momenti; e pensare che io non ne sapevo ancora niente!»

L’ennesima opera che descrive l’Uomo alla ricerca di un amore ideale, con la conclusione sorprendente che l’Idea non può piegare la realtà, ma può esserne parte integrante. Un inno che invita a fermare la corsa alla perfezione e a guardarsi intorno: e se la realtà fosse già abbastanza perfetta?

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Redazione

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