La notte in cui Teresa dormì con la morte
di Marco Bilanzone
regia Lorenzo Montanini
con Nadia Rahman-Caretto, Alessandro Di Somma, Giuseppe Mortelliti, Riccardo Marotta, Eleonora Turco
23 marzo, Teatro Studio Uno, Roma
La saga di Teresa, santa puttana e sposa è tornata al Teatro Studio Uno debuttando con il quarto capitolo dal 22 al 25 marzo, scritto da Marco Bilanzone, diretto da Lorenzo Montanini e con Nadia Rahman-Caretto, Alessandro Di Somma, Giuseppe Mortelliti, Riccardo Marotta, Eleonora Turco.
La notte in cui Teresa dormì con la morte è il titolo di questa nuova avventura in cui la protagonista vive gli anni più sereni della sua vita, diventando l’amante del suo benefattore Emiliano Ghedin, l’uomo che l’ha salvata dal carcere, dalla prostituzione e dalle violenze di un individuo potente.
Un lampadario illumina la sala da pranzo, un candelabro poggiato sul mobile dei liquori ospita delle candele accese e quasi consumate, una piantana diffonde la luce in un salotto decorato da tappeti e poltrone, un divano d’epoca su cui alcuni spettatori possono sedersi. È così che viene accolto il pubblico, mentre i personaggi occupano le stanze della casa, mentre “si viene ospitati” in casa di Emiliano Ghedin, il corpo esamine steso sul matrimoniale, nella camera da letto illuminata dalla bajour sul comodino. Unica luce simulata, quella del sole che filtra dalle tre finestre che danno sui vari ambienti; per il resto tutto fa pensare di essere realmente a casa e non più a teatro.
Ci si siede intorno a loro, mentre dei quadri sono appesi alle pareti, mentre una lieve musica proviene da un giradischi, e si assiste alla veglia del padrone di casa che, improvvisamente, si “risveglia” dal suo letto di morte, traghettando il flashback della vicenda del quarto episodio che di lì a poco si andrà a vivere.
Molto più grande di Teresa, il ricco industriale Emiliano trasforma la schiava in una donna libera, colta, matura, seppure ancora molto giovane. Ghedin scopre con Teresa un amore nuovo, ma questo idillio non dura che pochi anni, riportando la protagonista a scontrarsi nuovamente con la dura realtà che la circonda e che prevede per lei l’ennesimo fallimento.
Tutto è realizzato con l’estrema semplicità di chi vive a casa propria, senza far trapelare lo sforzo della messa in scena teatrale, senza caricare di senso qualcosa che possiede già un senso di per sé, mostrando (e non di – mostrando) ciò che è reale, vivo significativo. L’occhio gira a tutto tondo per la sala, come una performance interattiva che ha quasi un’impronta cinematografica, ma individuale per ogni singolo spettatore: trovato un posto a sedere intorno alla scena, il pubblico scopre il proprio “punto di vista” da cui godersi lo spettacolo, variando quindi una volta da un primo piano, un’altra da un piano americano, e un’altra ancora da un campo largo. Intimo ed estrinseco si alternano in maniera soggettiva, mentre la sala riacquisisce il senso della quarta parete e gli interpreti non smettono mai di essere connessi tra loro e con il pubblico stesso, sentendone ancora di più la vicinanza. Vi è anzi quasi una sorta di timidezza degli spettatori a sentirsi così inseriti nella scena stessa, vivendo le sensazioni dei personaggi, le loro tensioni e i loro momenti di svago. È come se ci si trovasse quasi di fronte ad un reality, un Grande Fratello dove l’occhio umano si sostituisce a quello freddo di una macchina da presa.
La musica suonata anche dal vivo con chitarra e fisarmonica cancella totalmente la convenzione teatrale dell’accompagnamento esterno e i dialetti dei personaggi rendono ancora di più la verità del racconto e della storia stessa, delle persone che hanno vissuto quel periodo, della borghesia che nasconde le sfumature degli esseri umani e in particolar modo di questi protagonisti che non sono mai del tutto degli eroi positivi. E a tutto ciò si assiste non più come un pubblico palesato, ma quasi come degli spioni dentro la casa di Emiliano Ghedin, nascosti dietro un angolo del salotto, o appiattiti contro la parete di una camera da letto. Si gode nell’osservare, accettando il gioco di non essere visti dagli attori.
Ci si diverte, ci si commuove, ci si immerge nell’epoca storica del racconto di Teresa, si vivono insieme agli interpreti le passioni e i giudizi di questa donna, e anche degli altri personaggi. Ci si sente quasi a proprio agio in un luogo che oltre ad essere la casa di Emiliano, diventa pian piano e senza sforzo anche un po’ la propria.
Per concludere con una frase significativa, il quarto capitolo di questa saga potrebbe benissimo affermare: «Venite a vedere a casa Ghedin come si lavano i panni sporchi».