Protagonista al centro della scena solo una cassapanca argentata, quella stessa che dà inizio allo spettacolo partorendo i vestiti di scena, e che verso la fine verrà passivamente scaraventata sul palco dall’iracondo padre di Giulietta, provocando apprensione e un gran fragore.
Gli attori si impongono nel piccolo spazio scenico creando un quadrato immaginario fatto di rincorse smorzate, schiaffi non dati, parole vibranti non dette e di palchi che rimbombano di passi vissuti, strusciati, sbattuti.
Queste sono le prime azioni che percepiamo, fino a che i forti gesti non lasciano spazio alle parole di un regista/frate Lorenzo che si sfoga proprio in mezzo a noi, stanco dei colpi di testa di attori capricciosi ed irriverenti.
Eccolo, il labile sovrapporsi di realtà e finzione, persona e personaggio.
Una Giulietta rock dal trucco pesante, anfibi neri e piercing al naso ed un Romeo irrispettoso, che esordisce con un “Noi siamo figli delle stelle” in falsetto, si sdoppiano a tal punto che la loro schizofrenia non riesce a rimanere fuori dal palco ma lì, latente, spunta fuori come strizzata da un vortice: due attori che non si stimano professionalmente sono costretti a giurarsi amore eterno e baciarsi appassionatamente sulle melodiche note di Ludovico Einaudi, lì, sopra quella cassapanca silente spettatrice di tutte le vicende.
Ed ecco la balia di Giulietta, attrice insoddisfatta che non ne può più di doversi dimostrare tutta salamelecchi, tacita complicità, bonari rimproveri ed onesti consigli, quando prova solo rancore verso una Giulietta, protagonista della parte che avrebbe dovuto interpretare lei, regalandoci un intenso monologo liberatorio.
Il susseguirsi di scene scandite da colonne sonore suggestive e dal sound dal rock dei Prodigy (Smack my bitch up), che apre le danze di una festa in maschera quasi buttata sul ridicolo alle dolci melodie di Einaudi per la più famosa scena shakespeariana del balcone – in questo caso al terzo piano senza ascensore annessa di padre con la sciatica –, fa venire la pelle d’oca, a tratti commuovere e ridacchiare sotto i baffi, regalandoci nel contempo un’arguta rivisitazione del dramma shakespeariano, ma anche un’amara riflessione sulla catartica sofferenza che provoca il teatro nell’attore che lo fa e nello spettatore che vi si immedesima, creando il binomio realtà/illusione tipico della teoria delle maschere pirandelliana.
Terzo piano senza ascensore
Testo di Olivia Papili, liberamente tratto da Romeo e Giulietta di Shakespeare
Regia di e con Solimano Pantarollo
E con Riccardo Agostini, Debora d’Andrea, Luca Di Cecilia, Alessandro Grilli e Olivia Papini
Sabato 1 ottobre 2011ore21:00,Teatro dell’Orologio di Roma