Le parole di luce sono come scolpite sullo schermo. Parole sofferte ma non melodrammatiche, secche, tentativi di razionalizzare l’illogica violenza della tortura. Ordinary Witnesses nasce dalle testimonianze delle vittime di sevizie e barbarie.
Cinque danzatori entrano in scena, sagome illuminate da una luce obliqua, contorni di corpi che si muovono sul palco disegnando traiettorie apparentemente casuali. I volti, nella penombra, sono indistinguibili. Lineamenti umani appaiono su uno schermo che, come una botola, si schiude sul palco per mostrarci i testimoni ordinari di violenze extra-ordinarie. Immagini fisse che ci parlano, provando a raccontare esperienze al limite del rappresentabile.
La violenza non può essere visualizzata nel suo crudo compiersi -diventerebbe spettacolo, curioso dolore mediatico- ma può essere evocata attraverso corpi che si muovono in maniera disumana, ai limiti del contorsionismo.
Quello di Rachid Ouramdane è il tentativo di descrivere l’impresentabile… attraverso danzatori con grandi doti di elasticità che rappresentino l’idea di un corpo ‘insopportabile’. I movimenti sono controllati e fluidi; i danzatori non sembrano faticare, ma rappresentare la fatica di chi, nonostante tutto, vuole continuare a vivere, a raccontare.
Una schiena che si flette oltre il limite, il peso di un corpo senza spina dorsale, l’inesorabile forza di gravità, la difficoltà di mantenersi in piedi. Movimenti estremi nascono da un quotidiano camminare e a questo ogni volta ritornano, come nello straordinario momento in cui una delle danzatrici inizia a roteare per minuti e minuti come una falena impazzita, attratta e respinta dalla griglia di luci sul palco, presa in un vortice dal quale riesce infine a liberarsi, tornando a camminare, a vivere, come se nulla fosse successo.
Lo spettacolo nella sua essenzialità riesce a trasmettere un senso di disagio. Se protagonisti assoluti sono i cinque danzatori, una parte fondamentale la rivestono anche le luci e i suoni, utilizzati in maniera efficacemente misurata fino ad un attimo prima del finale. Proprio quando lo spettacolo sembra terminato, un bombardamento sonoro e luminoso scuote lo spettatore, disturbandolo, stimolandolo in maniera potente. Una violenza di suoni spazializzati in tutta la sala integrano il pubblico nella narrazione rendendolo partecipe, per quanto è possibile, di un dolore che forse solo chi ha vissuto può comprendere.
ORDINARY WITNESSES
lo spettacolo è stato presentato all’interno di Equilibrio – Festival della nuova danza
ideazione Rachid Ouramdane
performance Jean-Baptiste André, Lora Juodkaite, Mille Lundt, Jean-Claude Nelson, Georgina Vila-Bruch
musica Jean-Baptiste Julien
luci Yves Godin
video Jenny Teng e Nathalie Gasdoué
Il 19 febbraio, ore 21 – Auditorium parco della musica, Sala Petrassi – Roma
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