The Program, di S. Frears, UK/Fra 2015, 103′
Produzione Studio Canal, Working Title Films
Distribuzione Videa
@ dall’8 ottobre 2015 al cinema
L’Armstrong di Stephen Frears e tratto dal libro di David Walsh edito Sperling & Kupfer, è tutto fuorché un campione. È questa la tesi che porta avanti The Program, film che, al limite tra il biopic e la crime story, scarnifica la figura del texano arginando la magniloquenza delle sue imprese sportive.
Frears tratteggia Armstrong come un ciclista normale, consapevole dei propri limiti e in grado di sviluppare, con sopraffine intelligenza tattica, un invulnerabile sistema doping di squadra costituito per «puro istinto di sopravvivenza» in un mondo, quello ciclistico, fatto di “superuomini”. Tra le parole e le immagini sembra tuttavia esserci uno iato irriducibile: l’Armstrong interpretato da Ben Foster non sembra volersi adattare a un ambiente che faceva del doping una consuetudine in quegli anni; il suo spirito di adattamento si dimostra essere piuttosto una furente volontà di potenza mediante la quale trasformare la propria figura in quella di un eroe contemporaneo che, dopo aver sconfitto il cancro, è in grado di vincere anche la corsa più prestigiosa a livello internazionale. Non a caso il Tour de France in quegli anni era soprannominato “Tour de Lance” (1999-2005).
La spiccata somiglianza facciale di Ben Foster, resa ancora più vivida dai primi piani, non vuole trasportare sullo schermo la potenza magnetica dell’Armstrong ciclista, ma la sua mediocrità, il suo esser un atleta tra gli atleti. I suoi scatti con frequenze di pedalata mostruose a cui gli avversari, per manifesta inferiorità, non potevano rispondere, così come il suo essere un leader capace anche di reprimende brutali – celebre l’episodio con Filippo Simeoni, uno degli accusatori del medico Ferrari, interpretato macchiettisticamente da Guillaume Canet – vengono facilmente dimenticati dallo spettatore all’interno della dinamica di un film che difetta nel voler raccontare cronologicamente quasi tutta la carriera del ciclista, compiendo così continui balzi temporali per soffermarsi sulle pratiche illecite e limitando sia la visione d’insieme sia la ricezione esterna degli avvenimenti. Nonostante ciò, Frears ha il merito di spettacolarizzare le poche sequenze di corse ciclistiche girate caricandole di una visione cinematografica potente, sicuramente d’impatto e lontana dalle solite telecronache televisive che potrebbero facilmente annoiare qualsiasi non appassionato.
In The Program l’immagine di Armstrong esonda fuori dallo schermo polverizzandosi, rendendo fantasmatica anche quella grandezza umanistica attribuitagli da molti – spesso dai media –, che aveva il suo apice nelle ammirabili attività della sua fondazione e che si divinizzava in ogni singola vittoria, in ogni sguardo glaciale con cui osservava il mondo circostante. Frears ci restituisce, ben al di qua della cornice mitologico/leggendaria in cui vengono incastonati i campioni del ciclismo, la sensazione di un personaggio atrofizzato nella sua smania di vittorie, un androide in cui il software dopante installato riesce ad aumentare esponenzialmente le potenzialità dell’hardware fisico. In tutto ciò è esistito un ma ed è stato quello dettato dalle testimonianze, dalle confessioni e da una necessità razionale ed emotiva di emanciparsi dalle accuse e dalle bugie. È su questa voglia di libertà etica che l’Armstrong cyborg di quei Tour de France non ha potuto far altro che attestare la propria natura fraudolenta. The program ce ne dà oggi un assaggio.