Foto: Luca Gandolfi
Gruppo: The Tallest Man on Earth
Line Up: Kristian Matsson – voce, chitarra, chitarra elettrica, pianoforte
Dove: Chiesa metodista, Roma
Quando: mercoledì 10 Ottobre 2012
Info:
L’estate ci lascia, l’autunno rientra e Lanificio 159 e Snob Production si riconfermano messaggeri ed interpreti attenti della contemporaneità anche per questa stagione, proponendo una line-up incredibile per questi primi mesi in cui la temperatura si abbassa e il mare torna ad essere un sogno.
Si apre il sipario sulla capitale con Kristian Matsson a.k.a. The Tallest Man on Earth, classe ’83, attualmente in tour europeo fino ai primi di Novembre 2012. Al quinto lavoro targato Dead Oceans (Indiana/Texas, stessa etichetta discografica di A Place To Bury Strangers e John Vanderslice), con There’s No Leaving Now Kristian si riconferma un cantautore semplice e intenso, mentre si lascia immaginare in una foto dai colori sbiaditi col volto girato verso l’obiettivo, mentre fuma con gli occhi socchiusi e un sopracciglio alzato, un po’ ironico, un poco sorridente. Apparentemente yankee, Kristian è svedese di terra natale. Forse sono gli anni passati in quel buio e quella neve che salvano il The Tallest Man on Earth di un metro e 60 dal rischio della retorica folk e dalla banalità ampollosa; che lo rendono intimista con la giusta dose di distanza. Che restituiscono la dolcezza delle sue melodie come una carezza di un padre, intensa per la sua eccezionalità.
Pare d’obbligo citare Bob Dylan e Bon Iver (di cui apriva le esibizioni in tour tra 2008 e 2009) quando si parla di Matsonn come vi risiedesse al centro, in questa continua necessità di rimandi che permette a scrittori e ascoltatori di avere l’illusione di non perdersi.
Scarponcini in cuoio, skinny jeans e canottiera bianca in perfetto hipster code, Kristian è letteralmente acclamato dopo Dan Haywood’s New Hawks dal pubblico della chiesa metodista, che si presta sacrale ad accogliere gli artisti scelti per Chorde. La sua chitarra risuona nello spazio, limpida, e così la sua voce giovane e piena. Non si risparmia e propone subito le sue ballate più famose, drogando il pubblico pressato di soddisfazione. Chiudi gli occhi e lo immagini seduto con la sua chitarra davanti alla roulotte di una pianura americana, immerso nel sole dell’estate che finisce e tira le ombre lunghe. Ma in questa delicatezza arriva puntale qualcosa prima o poi che ti riporta alla realtà, dove spesso la dolcezza è un modo solo leggermente più efficace di scappare dalla disperazione. Dolorosamente innocente, Kristian spalanca un’emotività immediata espressa senza interpretazioni forzate, e l’autenticità, c’è da dire, vince sempre.
Un po’ di distensione tra tanti sperimentalismi musicali, una purezza salda di un musicista che la sua ingenuità l’ha comunque persa. Suona con vigorosa morbidezza, alternandosi nei pezzi finali tra chitarra elettrica e pianoforte (con una The dreamer che da sola ha fatto tutto).
The Tallest Man on Earth si distingue per una stage presence ipnotica, si piega su sé stesso e spesso appoggia l’orecchio alla chitarra come per essere con lei un’ unica presenza, e guarda il pubblico negli occhi come se parlasse ad ognuno. L’ inconveniente è che solo in Italia capita che siano i musicisti stessi a chiedere al pubblico di placarsi, di non battere le mani se a suonare è solo una chitarra…
Ascoltando l’ “uomo più alto del mondo” il rischio-ripetitività esiste, ma non ci si può arrabbiare con lui, un bambino con la barba, che quando canta la sua voce pare anche quella di suo
padre e di suo nonno e di tutto ciò che di bello può infilarci dentro, in una ninna nanna durata un’ora e mezza.
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