THERE WILL BE BLOOD: mattoni di sabbia e sangue

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WHEREVER YOU GO

Ghost Records, 2012

Line up:

Riccardo Giacomin: chitarra

Davide Paccioretti: chitarra

Mattia Castiglioni: batteria

Genere: blues rock

info:

Sito web della GhostRecords

Pagina face book dei There will be blood

Ascolta River Flowing

Ascolta Coyote

Tre italiani dispersi nel caldo infernale del deserto che attraversa il sud-ovest degli states. Qualche chitarra fuzz e una bussola che segna sempre il sud. Non si può non finire a suonare un chicken pickin’ all’italiana, così che dita poco abituate a pizzicare corde rugginose butterebbero tanto sangue da riempire taniche.

Dopo un EP autoprodotto, i THERE WILL BE BLOOD si fanno notare con un disco che fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile nel panorama italiano. La recente ascesa di band non proprio convenzionali come i fratelli maggiori Bud Spencer Blues Explosion sul loro stesso versante e i Calibro35 su quello attiguo, prova che il grande pubblico italiano è finalmente maturo per sonorità più audaci, iniziando ad apprezzare le produzione nostrane anche quando non si presentano nella classica forma canzone. Wherever You Go, concepito nel 2011 ma uscito per Ghost Records nel maggio 2012, approfitta proprio di questa ondata di ottimismo e sperimentazione musicale.

I dieci pezzi del disco hanno tutti una cadenza southern molto spiccata nella quale possiamo avvertire un impasto sonoro à la White Stripes. Infatti, la scomparsa del basso dalla formazione ha il sapore della “presenza di una assenza”, nel senso che la mancanza di quelle frequenze che fanno vibrare le budella è funzionale alla resa di pezzi barbari, selvaggi e quindi particolarmente trasandati (parola che assumo senza alcun intendo valutativo). Le perfette dinamiche pieno/vuoto in pezzi come Death Letter – in cui si succedono pizzicati blues cinici e mangiapannocchie e gigantesche eruzioni rock – e The Story Of A Woman Who Kisses Only Once – colonna sonora ideale per uno spettacolo di lap dance in un club per motociclisti – sono portavoci del fatto che i tre musicisti sanno quando tenere le mani apposto e lasciare che sia il pezzo stesso, o magari il blues, a condurre il gioco.

Voluta o meno, la appariscente pronuncia italofona delle parole inglesi dei testi e il conseguente scimmiottìo dello slang conferma la lettura di partenza: si ha l’idea di un gruppo di amici in cerca di avventure in terra straniera, dispersi e tenuti in ostaggio da una cultura musicale che continua ad affascinare.

THERE WILL BE BLOOD è una grandiosa cattedrale nel deserto, non proprio ortogonale perchè costruita con mattoni di sabbia millenaria e sangue fresco che ancora cola sulle chitarre: un impasto appassionato/appassionante ma percolante e sgangherato, progettato alla scuola del rock-blues.

Niente descrive meglio il blues di questa frase che ho sentito una volta, forse da un vagabondo ubriaco: «Shit happens… I know ’cause I play blues».

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Webmaster - Redattore Cinema

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