TI VUOI METTERE CON ME? L’amore al tempo delle mele

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TI VUOI METTERE CON ME? L’AMORE AL TEMPO DELLE MELE

di Michela Andreozzi, Paola Tiziana Cruciani e Giorgio Scarselli

regia Paola Tiziana Cruciani

musiche dal vivo Alessandro Greggia

5 agosto 2012, FontanonEstate, Roma

Due occhi ardenti come stelle, che non temono di competere con il panorama scintillante aperto su Roma, dietro la loggia del Fontanone: Michela Andreozzi è una granata di femminile e scoppiettante ironia, lanciata all’indietro, nel tempo, ad accendere ricordi e a sommuovere emozioni ormai depositate come polvere stantia.

L’adolescenza, ripercorsa senza falsa retorica nostalgica, mostra un nucleo di struggente crudezza, di goffaggine, di intima fragilità. Si può, si deve riderne, ma tra amici, in una cerchia ristretta, come parlando sottovoce di un segreto un po’ scottante, imbarazzante, al riparo per pudore da un pubblico ludibrio che potrebbe ancora ferirci. Per questo è necessaria una partecipazione viva e presente di tutti gli spettatori, chiamati a confessarsi in prima persona e a riconoscersi, in uno sforzo comune, nella condizione di esseri umani altamente imperfetti, dentro e oltre l’esperienza adolescenziale che continua a viverci dentro. Perché quel corpo sgraziato, sproporzionato, ogni giorno sconosciuto, che abbiamo tutti detestato vedendolo allo specchio nel suo momento di massima trasformazione, il nostro corpo adolescente, continuerà per sempre ad essere l’immagine di noi stessi, nello specchio interiore della nostra insicurezza.

Michela Andreozzi chiama a testimoni del passato gli oggetti –  il diario di scuola, il telefono, le cassette per registrare la musica –, le canzoni, i libri e le riviste di trent’anni fa. Ogni quarantenne può riconoscersi in qualcosa e, aggrappandosi agli oggetti, riassaporare il gusto dolceamaro della propria adolescenza. Ogni quarantenne può sghignazzare di sé, vergognandosi un po’ di quel tempo in cui non eravamo in noi, ma in balìa degli ormoni. E, se pur è vero che le cose cambiano, che le modalità di relazione si trasformano rapidamente, generazione dopo generazione, tutti, quarantenni e non, si sentono rappresentati: restano invariati nel tempo, infatti, la paura del primo amore, la prima scottante delusione, la curiosità sul sesso ancora sconosciuto; restano le ansie dei genitori, le piccole crudeltà tra coetanei, l’esclusione del perdente, l’omologazione rassicurante, il bisogno di certezze. Ogni età di oggi ha avuto la propria adolescenza e riconosce gli oggetti, le canzoni, le palpitazioni che l’hanno accompagnata nel momento in cui si è affacciata all’età adulta.

Michela Andreozzi ride del proprio passato, ma allo stesso tempo ammicca al presente, alle assurdità e alle innovazioni tecnologiche di oggi, che un tempo mai avremmo potuto prevedere e che ci avrebbero cambiato la vita. E non si può non ridere con lei dei suoi personaggi – la madre napoletana, la nonna, il fratello con la zeppola, ma anche la donna che dice Dasta! al Botox –, delle scene da Il tempo delle mele che rievoca – il gioco della bottiglia, le esercitazioni di bacio col cuscino, le telefonate con l’amica del cuore – e della fanciullezza che ancora porta in sé, intatta; non si può non godere della sua bella voce espressiva, quando canta; non si può non notare che la quarantenne, in lei, convive ancora amorevolmente con l’adolescente ribelle di trent’anni fa.

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